Il premier giapponese Abe Shinzo si è recato a Teheran tra il 12 e 14 giugno. Abe ha incontrato il presidente Hassan Rouhani e l’Ayatollah Ali Khamenei. Lo scopo della visita era mediare tra Washington e Teheran, ma il suo tentativo è fallito. L’iniziativa diplomatica ha spinto molti a chiedersi quanto effettimente Abe potesse avere fortuna. Il Giappone è certamente un Paese rispettabile, ma non abbastanza decisivo forse per poter influenzare due attori come Stati Uniti e Iran, con i quali Tokyo ha, in ogni caso, buone relazioni. Un articolo di Asia Times fa un po’ di chiarezza sulle ragioni di Abe. Non andrebbe dimenticato che quasi l’85% del petrolio e il 28% del gas naturale sfruttati dal Giappone arrivano dal Golfo Persico. Ma non c’è solo questo: per il Giappone è fondamentale elevare le relazioni con Usa a un livello superiore, visto il comune interesse di contenere l’aggressività cinese. Tokyo è preoccupata dalla crescente influenza cinese nella regione e una guerra tra Usa e Iran potrebbe distrarre gli americani e avvantaggiare la Cina in Medio Oriente.

Scrive Mara Cavalleri:

La motivazione ufficiale della visita di Abe a Teheran è il novantesimo anniversario dei rapporti bilaterali Iran-Giappone, che sono sempre stati quantomeno cordiali nonostante il ben noto legame del Giappone agli Stati Uniti. L’ultima volta che un Primo Ministro giapponese visitò il Paese mediorientale fu nel 1978 con Takeo Fukuda, quando ancora la Repubblica Islamica non era nata. La visita odierna però ha luogo nel contesto di un forte inasprimento delle relazioni USA-Iran, andate deteriorandosi dopo che l’anno scorso il Presidente statunitense Trump aveva ufficialmente ritirato il proprio Paese dall’accordo internazionale sul nucleare iraniano (JCPOA – Joint Comprehensive Plan of Action) firmato da Obama nel 2015. A stretto giro Washington ha anche reintrodotto numerose sanzioni economiche contro Teheran. L’idea di una visita in Iran per cercare di fare da intermediario è stata di Abe, che già a metà maggio aveva discusso di questa possibilità prima con il Ministro degli Esteri iraniano Javad Zarif e poi con il Segretario di Stato USA Mike Pompeo. Durante la visita di Trump in Giappone il Presidente americano ha dato l’imprimatur al viaggio di Abe.

Nella conferenza stampa congiunta con Rouhani, il premier giapponese ha affermato che il Sol Levante intende dare il proprio contributo per evitare un’escalation militare nel Golfo dell’Oman. Dall’altro lato, ha fatto appello alla religione islamica che “consiglia sempre la moderazione”, invitando Teheran a una collaborazione costruttiva con l’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica. Peccato che il giorno seguente, in concomitanza dell’incontro a porte chiuse con l’Ayatollah Khamenei, le parole di Abe siano sembrate piuttosto futili dopo che due navi, una petroliera e una nave trasportante metanolo (la giapponese Kokuka Courageous), sono state danneggiate da delle esplosioni nei pressi dello Stretto di Hormuz. Trump ha subito accusato l’Iran di essere responsabile dell’accaduto e di averne le prove, mostrando un video dove l’equipaggio di una barca iraniana sembrerebbe intento a rimuovere una mina inesplosa da una delle due navi. Nonostante l’invito del Segretario generale ONU Guterres a condurre un’indagine indipendente sull’avvenimento, il Segretario di Stato USA Pompeo ha contattato i propri alleati e amici a sostegno della propria posizione, trovando subito risposta positiva da parte del Regno Unito.

La missione di Abe era dunque condannata al fallimento sin dal principio? Sì e no. Le possibilità che Abe potesse concretamente avere un ruolo attivo nel calmare gli animi non sono mai state molte, ma non bisogna dimenticare l’effetto “di immagine” provocato dalla visita di Abe. La principale motivazione alla base dei buoni e durevoli rapporti del Giappone con l’Iran e gli altri Paesi del Medio Oriente è la sostanziale dipendenza energetica del Giappone dal petrolio proveniente dal Golfo. Se da un lato Trump vuole to make (e ora to keep) America great, dall’altro lato Abe mira non solo a sostenere la crescita della propria economia (trainata soprattutto dai comparti industriali e tecnologici, quindi energivori), ma anche a rendere di nuovo il Giappone un Paese di rilievo sul piano internazionale, possibilmente più autonomo dagli Stati Uniti. In questo senso la visita a Teheran conferisce al premier un’allure da grande statista internazionale che non può far altro che portare  benefici sul piano dell’opinione pubblica interna, soprattutto in vista delle prossime elezioni di luglio.

Photo: Prime Minister Shinzo Abe and Iranian Foreign Minister Mohammad Javad Zarif shake hands at the Prime Minister’s Office on Thursday. | KYODO

di Mara Cavalleri, Il Caffè Geopolitico