In Libia è allarme guerra civile. Il premier Fayez al Sarraj, a capo del governo di Tripoli riconosciuto dall’Onu e dall’Italia, serra i ranghi e resiste all’offensiva delle truppe del generale Khalifa Haftar in marcia verso la città. Libya Observer ha riferito di un raid aereo condotto dalle forze del Governo di Accordo Nazionale contro le postazioni dell’esercito guidato da Haftar (Lna) nell’area dell’aeroporto internazionale di Tripoli e a Wadi Rabea. Ancora secondo il giornale, le truppe del generale avrebbero colpito con un bombardamento a Naqliya camp, che si trova lungo la strada per l’aeroporto, senza provocare vittime. Ci sarebbero stati anche raid aerei nel corso della mattinata nei dintorni di Ain Zhara. Le truppe fedeli al Governo di Accordo Nazionale hanno lanciato l’operazione militare “Volcano of Rage” contro Haftar a protezione del popolo libico, ha affermato in conferenza stampa il portavoce Gununu. 

Fayez al Sarraj in un discorso alla tv ha accusato Haftar di “tradimento” e si sarebbe scagliato contro Parigi, accusandola di sostenere l’offensiva del generale. Libya Observer riferisce infatti che al Sarraj avrebbe convocato l’ambasciatore francese in segno di protesta verso l’avanzata di Haftar su Tripoli. «Abbiamo teso le mani verso la pace, ma dopo l’aggressione delle forze di Haftar e la sua dichiarazione di guerra alle nostre città e alla nostra capitale, lui non troverà che forza e fermezza», ha detto al Sarraj. Le truppe dell’esercito dell’uomo forte della Cirenaica sarebbero state fermate a 50 chilometri da Tripoli e a sud della città si continua a combattere tra il Libyan National Army e le sue milizie alleate e il mosaico di forze dell’Ovest che sostengono il Governo di Unità Nazionale. Tripoli ha respinto il generale, la marcia dell’Esercito nazionale libico di Haftar verso la città è stata infatti ostacolata dalla forza militare degli alleati di Misurata, rimasti in sostanza dalla parte del governo libico. Gli scontri alle porte di Tripoli hanno dimostrato quanto sia complesso per Haftar prendere il controllo della città. Anche nei dintorni di Tripoli Haftar ha fatto ricorso alla tattica che prevede soldi in cambio di fedeltà da parte delle milizie non in buoni rapporti con al Sarraj. Due gruppi armati rilevanti, la milizia salafita “Rada” e quella dell’ex capo di polizia Tajuri, si sono però schierate dalla parte del premier. Un gruppo armato di Misurata, la Brigata 166, è arrivato a est di Tripoli per prendere parte alla controffensiva.

L’aeroporto internazionale, chiuso nel 2014 e a una distanza di appena 25 km dal centro di Tripoli, sabato è diventato il principale terreno di scontro tra i due schieramenti. Nella serata di venerdì 5 aprile le milizie ribelli di Haftar ne avevano annunciato la conquista, ma le forze del governo di Tripoli avevano fatto sapere di aver riperso il controllo dello scalo, che potrebbe rivelarsi per Haftar un’ottima base per proseguire i combattimenti. Nei pressi dell’aeroporto si erano già verificati diversi scontri e poco prima di annunciare la conquista dello scalo internazionale le milizie di Haftar avevano occupato la località di Qasr Bin Ghashir. Gli scontri avevano riguardato anche l’aviazione. Presa di mira con un raid Al-Hira, località a nord di Gharyan, la città a 80 chilometri da Tripoli da cui era partita l’avanzata di Haftar giovedì 4 aprile e che era stata conquistata dalle truppe del generale senza combattere. I bombardamenti del governo hanno riguardato posizioni dell’esercito di Haftar a Mizda, a sud di Gharyan e Souq Al-Khamis, sud-est di Tripoli, ma non hanno causato morti. I raid erano stati confermati da Libya Observer, che aveva riferito di bombardamenti anche sull’altopiano del Gebel Nefusa. Nelle mani delle truppe del generale ci sarebbe anche Sog Al-Khmies, a quasi 40 chilometri da Tripoli. 

La coalizione di milizie a sostegno di al Sarraj aveva lanciato la propria controffensiva con l’operazione Wadi Doum 2. Un nome che ad Haftar ricorda la sconfitta e la cattura ad opera dei ciadiani subita nel 1987, quando il generale era schierato con Gheddafi e combatteva dalla parte del leader libico. Le operazioni condotte nelle città del Sud del Fezzan avevano fatto pensare ad Haftar di poter marciare verso la città e di poter assestare a Fayez al Sarraj un colpo definitivo. Venerdì le milizie fedeli al governo di Accordo Nazionale (GNA) libico avevano tuttavia respinto le truppe del generale Khalifa Haftar a Zawiya, città costiera a circa 50 chilometri a ovest della capitale Tripoli, riconquistando il posto di blocco a meno di 30 chilometri da Tripoli che le Esercito nazionale libico aveva occupato il giorno prima. I Miliziani della di Zawiya avevano riconquistato la base dopo un “breve scambio a fuoco”.

Il 14 aprile è prevista una conferenza sul futuro della Libia da tenersi a Ghadames, nel sud-ovest del Paese, che il segretario generaledell’Onu Guterres spera si possa ancora tenere. L‘avanzata di Haftar era stata indicata dagli analisti come una mossa studiata per presentarsi alla conferenza vantando una posizione di forza. Le Nazioni Unite avevano chiesto lo stop alle azioni militari, ma l’appello era caduto nel vuoto. Fallita anche la linea del segretario generale, volato a Bengasi per convincere l’uomo forte della Cirenaica a evitare l’escalation militare. Haftar aveva mostrato l’intenzione di andare avanti con l’offensiva e Guterres aveva lasciato la Libia con profonda preoccupazione, anche se il numero uno dell’Onu aveva auspicato di riuscire a evitare uno scontro più anguinoso.

 Arturo Varvelli, analista ISPI, aveva commentato così l’avanzata del generale: «Haftar prenderà la Libia, ma il suo obiettivo è entrare nella capitale come salvatore della patria contando sul supporto di una popolazione stanca del caos e su capi miliziani con la pancia troppo piena per voler combattere. Il Generale gode certamente del supporto economico emiratino (e forse saudita) e di quello militare dei russi (presenti in Libia diversi mercenari del gruppo Wagner), ma probabilmente anche di quello dei francesi. Tuttavia, se vuole conservare una legittimità, interna e internazionale, non può permettersi un bagno di sangue. In ogni caso non mi sembrano maturi i tempi. Finché Misurata difende la capitale il suo ingresso è difficile. Da valutare posizione USA. Come prenderà il potere avrà influenza su equilibri e interessi di tutti. Insomma… se la deve sudare. Da considerare poi che ha 75 anni. Questa presunta stabilità che porterà il generale quanto potrebbe durare?»

L’Eni sabato ha deciso di evacuare il personale italiano in Libia. Secondo fonti della compagnia, la disposizione è “una decisione precauzionale”, prevista anche in altre occasioni. Il personale italiano dell’Eni in Libia è presente a Tripoli, nel giacimento di Wafa, in Tripolitania, e in quello di El Feel, a sud. «L’avanzata delle milizie e dell’esercito nazionale di Haftar verso Tripoli fanno temere un’escalation di violenze soprattutto tra le milizie di Misurata, che sono il potere forte nell’area Ovest del paese, e l’LNA di Haftar», aveva commentato a Start Magazine Michela Mercuri, analista e docente di Storia contemporanea dei Paesi mediterranei all’Università di Macerata. «Naturalmente – ha proseguito Mercuri – tutto ciò per gli interessi dell’Eni rappresenta un campanello dall’allarme. È possibile che Haftar possa accordarsi con alcune milizie che in questo momento gestiscono i pozzi dell’Eni in Tripolitania dove ci sono la maggior parte dei giacimenti offshore e onshore, però tendenzialmente, come accaduto per il giacimento di El Feel la produzione dovrebbe rimanere sostanzialmente nelle mani di Eni. È chiaro tuttavia – aggiungeva l’analista -. che se perdiamo il controllo politico sulla Libia anche gli interessi di Eni saranno a rischio e la compagnia dovrà lavorare il doppio per mantenere le posizioni all’interno del paese. In sintesi, Eni è solida al di là di Sarraj e Haftar e il fatto che le milizie che gestiscano dei pozzi possano cambiare casacca, potrebbe portare problemi. Ma malgrado ciò credo che Eni sia in grado comunque di affrontare il problema visto il suo radicamento sul territorio. Sicuramente non è però un buon segno da un punto di vista politico. L’Eni riesce a salvarsi nonostante i nostri deficit diplomatici e politici. E forse riuscirà a farlo anche questa volta».