Con la progressiva sconfitta militare dello Stato Islamico (IS) in Siraq nel corso dei mesi passati, l’Indonesia e, in generale, il Sud-est asiatico, sono divenuti un nuovo terreno fertile per l’espansione del terrorismo islamista.
JIHAD INDONESIANA
Distribuito su migliaia di isole, il Sud-est asiatico è difficile da controllare ed è terreno favorevole all’infiltrazione da parte delle organizzazioni del terrorismo transnazionale, che esprimono l’ambizione di costruire un califfato nell’area. Il reclutamento nella regione avviene per la maggior parte dei casi mediante siti Internet e social network. L’IS, in particolare, ha come progetto la creazione della Wilayat East Asia, che comprende Malesia, Indonesia, Singapore e le aree meridionali di Thailandia e Filippine. La Costituzione indonesiana si fonda sulla dottrina della Pancasila, che garantisce la tolleranza e il rispetto delle cinque religioni professate nell’arcipelago: Islam, Buddhismo, Induismo, Cristianesimo e Confucianesimo, nonostante nel Paese circa 180 milioni di persone, su 250 milioni totali, siano fedeli musulmani. La crescita del pericolo jihadista in Indonesia è favorito dalla presenze di gruppi politici vicini a posizioni islamiste ed estremiste, quali il Movimento 212 e i conservatori del Front Pembela Islam, che sfruttano la poca tolleranza di una parte della società indonesiana verso altre religioni e ideologie, spingendola, insieme all’operato di numerose scuole e moschee, al radicalismo. Nel giugno 2014, Abu Wardah Santoso, leader dei Mujahideen Indonesia Timor (MIT) e Abu Bakar Ba’asyir, leader di Jemaah Anshorut Tauhid (JAT), giurarono fedeltà all’IS e si affiliarono ufficialmente. Nel 2015 il predicatore Aman Abdurrahman, all’epoca già in carcere, unificò sotto il suo comando dodici gruppi jihadisti indonesiani, costituendo l’organizzazione Jamaah Ansharut Daulah (JAD), giurando a sua volta fedeltà all’IS. Il JAD è un insieme di gruppi autoctoni totalmente dediti alla causa del Califfato, presente in 18 delle 34 province del Paese. Il JAD può essere considerato l’erede di Jemaah Islamiyah (JI), l’organizzazione legata ad al-Qā’ida che nel 2002 condusse il sanguinoso attentato di Bali, nel quale morirono oltre 200 persone. Il JI fu poi smantellato dalle forze di élite antiterrorismo indonesiane, il Detachment 88. L’assedio dei jihadisti affiliati all’IS della città filippina di Marawi, nell’isola di Mindanao, tra il maggio e l’ottobre del 2017, ha poi facilitato ed esteso la diffusione dell’estremismo in tutto il Sud-est asiatico. A giugno 2019 la polizia indonesiana ha arrestato il leader di JI, Para Wijayanto, in fuga dal 2003, insieme a molti militanti dell’organizzazione. Gli arresti hanno dimostrato come il gruppo continui a diffondere la sua ideologia attraverso istituzioni educative e di ricerca, con i suoi leader che sono stati inviati per la formazione in Medio Oriente e continuano a mantenere connessioni con al-Qā’ida. Inoltre la polizia ha scoperto un legame tra le attività di reclutamento e addestramento di JI al di fuori dell’Indonesia e il ritorno di queste persone nel Paese.
Le attuali organizzazioni jihadiste locali e i militanti dell’Islamic State East Asia (ISEA) operano in reti di reclutamento e diffusione ideologica sempre più piccole, in modo da non farsi rintracciare dalle Autorità. Hanno poi cambiato tattica operativa negli attacchi, non colpendo più turisti e strutture straniere, ma concentrandosi su obiettivi locali, quali polizia, politici, esercito e strutture governative. Le aree in cui la presenza jihadista è più forte sono, ad oggi, quelle di Giava, Aceh, Papua e Sumatra.
Fig. 1 – Un artificiere della Marina indonesiana disattiva un finto ordigno durante un’esercitazione nel porto di Tanjung Perak, 28 novembre 2019
L’ESPANSIONE DELL’IS
Lo Stato Islamico già dal 2015 ha iniziato a esercitare la sua influenza nel Sud-est asiatico, per rendere l’area la sua nuova frontiera operativa. Data la presenza della militanza islamista in Indonesia, l’IS ha subito tentato di instaurarsi nelle regioni indonesiane precedentemente elencate, legandosi a organizzazioni autoctone. L’Indonesia, difatti, è uno dei maggiori fornitori mondiali di combattenti dell’IS, con oltre 800 indonesiani che hanno aderito alla guerra in Siria e Iraq, di cui oltre 200 tornati nel Paese dopo la sconfitta del Califfato in Medio Oriente. Questi foreign fighters rappresentano una ottima base per reclutare nuovi membri ed espandersi nel Paese. Il 12 novembre scorso un attentatore suicida si è fatto esplodere in una stazione di polizia nella città di Medan, nel nord di Sumatra, ferendo quattro poliziotti e due civili. Il militante, uno studente di 24 anni, indossava un dispositivo esplosivo pieno di chiodi ed era molto attivo sui social network. Si è successivamente scoperto che l’attentatore faceva parte della rete JAD. La maggior parte delle nuove reclute dell’IS in Indonesia, come detto, sono arruolate attraverso i social network e internet, frequentano corsi o lezioni online di educazione religiosa e sono connessi ai reclutatori e agli altri militanti nel Paese per coordinarsi. Nell’ultimo anno sono aumentati in maniera considerevole anche i video di propaganda IS verso le donne e le famiglie, incoraggiando i gruppi terroristi locali a coinvolgere intere famiglie nelle azioni terroristiche. A giugno 2019 l’ISEA ha pubblicato un breve video in cui i militanti filippini e indonesiani del Califfato rinnovavano il loro giuramento di fedeltà ad Abu Bakr al-Baghdādī e nei giorni scorsi al nuovo Califfo Abu Ibrahim al-Hāshim al-Quraishi.
Fig. 2 – Immagini dai canali social dei jihadisti: membri dell’ISEA giurano fedeltà al successore del defunto al-Baghdadi, novembre 2019
IL CONTROTERRORISMO
La lotta contro i gruppi jihadisti affiliati all’IS e non, in Indonesia, è condotta, come detto, dal Detachment 88, l’unità speciale antiterrorismo indonesiana. L’unita è sostenuta finanziariamente dal Governo indonesiano e dagli USA e i suoi membri sono addestrati dalla CIA e dall’FBI. Le indagini e le operazioni riguardanti il terrorismo vengono condotte dalla polizia e dalle forze speciali e coordinate dalla National Counterterrorism Agency (BNPT). La legislazione antiterrorismo indonesiana è composta da diverse leggi, quali l’Emergency Law del 1951, il Combating Criminal Acts of Terrorism del 2003, la legge sulla prevenzione e l’antiterrorismo finanziario del 2013 e infine la legge contro l’estremismo e il terrorismo del 10 luglio 2017. Quest’ultima conferisce al Governo il potere di sciogliere, senza procedimento penale, qualsiasi gruppo metta in discussione o minacci la Pancasila. Ad oggi, invece, l’Indonesia non possiede una legge che punisca i viaggi all’estero per unirsi ai gruppi jihadisti e nei confronti dei foreign fighters. Il contrasto al finanziamento del terrorismo è operato dall’Indonesian Financial Transaction Reports and Analysis Center che dispone della legge del 2013, su citata, che considera un crimine il riciclaggio di denaro per sostenere attività terroristiche. L’Indonesia, inoltre, è un membro dell’Asia/Pacific Group on Money Laundering e della Financial Action Task Force (FATF).
Fig. 3 – Vasto schieramento di forze dell’ordine a Giacarta durante la recente cerimonia di insediamento del Presidente Joko Widodo, vincitore delle elezioni dello scorso aprile
Il Ministero delle Comunicazioni indonesiano ha più volte in questi mesi bloccato l’accesso al servizio di messaggistica Telegram, usato dalle organizzazioni jihadiste per promuovere il radicalismo e trasmettere istruzioni per attacchi terroristici. Il Governo indonesiano ha anche inviato richieste alle aziende di messaggistica quali Twitter, Facebook e Telegram, chiedendo loro di rimuovere qualsiasi tipo di contenuto estremista.
Per contrastare il fenomeno jihadista nel Paese, il Governo indonesiano dovrebbe integrare la legislazione antiterrorismo, tramite il BNPT, creare appositi programmi di reinserimento e riabilitazione per i foreign fighters e le loro famiglie, abbinata a una fondamentale riforma delle carceri. Lo Stato islamico ha, in passato, reclutato nelle prigioni indonesiane piccoli criminali e giovani insoddisfatti anche approfittando della cattiva gestione e del sovraffollamento delle stesse e della scarsa vigilanza all’interno dei penitenziari, con i detenuti liberi di utilizzare i social network e gli smartphone.
Daniele Garofalo, Il Caffè Geopolitico
PHOTO: VOA NEWS, A vendor displays books written about jihad in an Islamic book store in Jakarta.
Daniele Garofalo
Nato a Salerno, classe 1988, si è specializzato in Storia e dottrine Politiche all'Università di Napoli Federico II. Ricercatore ed analista in materia di Terrorismo Islamista e Geopolitica. Autore del libro “Medio Oriente Insanguinato” (Edizioni Enigma, 2020).
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