Armando Sanguini vanta una carriera diplomatica lunga quarant’anni. È stato ambasciatore italiano in Arabia Saudita, capo missione in Cile, Tunisia e Germania, solo per citare alcune delle sue più importanti esperienze professionali. Senior Adviser dell’ISPI (Istituto per gli studi di politica internazionale) di Milano, oggi è un apprezzato commentatore di politica estera e interna. Ecco cosa pensa di quanto sta accadendo in Medio Oriente alle prime difficoltà a cui sta andando incontro l’erede al trono saudita Mohammed Bin Salman, dal ruolo della Turchia di Erdogan allo scontro sempre più ravvicinato tra Riad e Teheran.

Ambasciatore durante la sua lunga carriera ha vissuto in molti paesi del mondo. Qual è stata l’esperienza più difficile e perché?

Tra le esperienze più impegnative citerei la Tunisia perché mi sono trovato ad affrontare un’agenda di problemi bilaterali piuttosto nevralgici in un contesto fortemente autocratico che non ha facilitato il mio servizio. Ne posso citare tre: il nodo dei sequestri dei nostri pescherecci, piuttosto frequenti, che è stato possibile superare attraverso la laboriosa creazione di società miste italo-tunisine; lo sblocco della vendita degli immobili da parte degli italiani residenti in quel Paese; la collaborazione in materia migratoria che contemplava un accordo per disciplinare il flusso legale e un altro per gestire il rimpatrio dei migranti irregolari. La Tunisia mi ha aperto poi alla complessità del mondo islamico che ho poi avuto modo di approfondire nel versante wahhabita in Arabia saudita. Ho avuto anche l’onore di coronare il mio servizio con la visita del Presidente della Repubblica Ciampi che resta indelebile nella mia memoria.

Qual è stata, invece, l’esperienza più gratificante sul piano umano?

La più gratificante professionalmente e umanamente è stata l’esperienza cilena: perché grazie al sostegno del mio governo mi è stato dato modo di contribuire a sostenere le forze democratiche del Paese nella loro lotta per sconfiggere Pinochet e liberare il Cile dall’odiosa e sanguinaria dittatura militare inaugurata con il bombardamento della Moneda, la sede della presidenza. Ho vissuto da molto vicino lo straordinario sostegno assicurato dalla chiesa locale alle vittime di quella dittatura e l’allora (1987, ndr) discussa visita del Papa, San Giovanni Paolo. Ho trovato nei cileni un popolo fraterno, orgoglioso della propria grandezza culturale. Ho avuto il privilegio di vivere con i cileni la gioia straripante della vittoria democratica. Ho potuto anche ristabilire un rapporto solidale e amico con la comunità italiana.

Che idea si è fatto del caso di Ahmad Khashoggi, il giornalista saudita ucciso all’interno del Consolato di Riad a Istanbul il 2 ottobre 2018?

Si è trattato a mio giudizio di un omicidio marcato da una efferatezza stupidamente e rozzamente insensata, degna di un film horror mal concepito e peggio eseguito. E poi, non si poteva scegliere un posto più sbagliato, nel quale tra altro non era stata effettuata una previa “bonifica” di eventuali cimici dei servizi turchi, e nel Paese meno consigliabile, visto il tenore delle relazioni bilaterali.

La convince la versione secondo cui il principe ereditario saudita Mohammed Bin Salman è caduto in una trappola ordita da “nemici di palazzo”? Oppure, molto più semplicemente, è stato il futuro re saudita a ordinarne l’eliminazione?

C’è chi sostiene che si sia trattato di un incidente di percorso in quella che doveva essere un’operazione intimidatoria. Possibile, ma resta la goffaggine della sequenza degli atti che hanno preceduto e seguito l’incidente. C’è anche chi dice che tale goffaggine sia stata congegnata di proposito per far ragionevolmente escludere la colpevolezza di MBS. Possibile ma troppo contorta e molto rischiosa. Una trappola per MBS? Possibile visto che in definitiva Khashoggi era un critico della casa reale saudita ma non tra i più temibili. Sarà interessante seguire l’iter processuale che potrebbe dar luogo anche a condanne a morte;

Che ruolo ha avuto il presidente turco Erdogan in questa partita?

Erdogan ha sfruttato con cinica maestria questa partita. Da campione di repressione dei diritti umani in casa sua e di disinvoltura politica sul piano regionale e internazionale, ha puntato fin dall’inizio il dito accusatore, direttamente e per il tramite dei media da lui controllati, contro MBS indicandolo come il mandante dell’omicidio. Le ragioni, peraltro ben poco nobili, di questo distillato di veleno quasi quotidiano vanno ricercate nella rivalità con questo giovane ma molto temibile avversario nel mondo islamico di cui si propone da tempo come protagonista e guida (della Fratellanza Musulmana, ndr) e nel proposito di incrinarne l’alleanza con Washington.

A quasi tre mesi dall’omicidio di Kashoggi la bufera mediatica su MBS sembra essersi un po’ attenuata. Calma prima della tempesta o epilogo silenzioso di questa vicenda?

Direi che MBS ha subìto un serio danno d’immagine e lo stesso principe ereditario si è dato subito da fare per rimontare la china con il giro “di calore” effettuato all’interno del Paese con il re-padre e poi con le visite in Egitto, Marocco, Tunisia e Algeria. La nuova dinamica impressa alla crisi yemenita è indicativa al riguardo. Ma diciamo pure che il mondo degli interessi – e l’Arabia Saudita ne rappresenta una parte importante – ha cominciato ad archiviare la questione dal vertice del G20 di Buenos Aires in avanti. L’appoggio di Trump, il saluto caloroso di Putin e gli incontri con Xi Jinping e Macron e poi la sorridente stretta di mano del segretario generale dell’ONU Guterres, sono alcuni dei significativi indicatori che si possono citare in proposito.

Chi è Mohammed Bin Salman?

È una sorta di Giano bifronte. Monarca assoluto e intollerante verso chi lo avversa e verso chi rivendica processi modernizzatori che lui stesso porta avanti in campo sociale, ma sovrano in pectore che progetta un futuro moderno, quasi avveniristico per il proprio Paese che vuole accreditare come inquilino importante del condominio internazionale. Irruento, profondamente ancorato all’identità saudita, sta erodendo in maniera consistente il potere della famiglia religiosa (wahhabita) mentre gode di un forte consenso nella fascia giovanile della popolazione. Ha promosso il rilancio dell’alleanza con gli USA ma ha rafforzato e ampliato il perimetro dei rapporti e dei partenariati internazionali.

Alla luce di quest’ultimo scandalo Re Salman potrebbe decidere di non farlo andare al trono, o è improbabile che accada?

Mai dire mai ma, allo stato, lo ritengo poco probabile.

Quali sono secondo lei gli errori commessi da MBS?

L’errore più grande, ragionando ex post, è stata l’avventura militare in Yemen, frutto della quasi-ossessione iraniana, peraltro non del tutto ingiustificata. Sta cercando di porvi rimedio. Ha sbagliato col Canada quando ha risposto alle critiche ricevute con l’accusa di interferenza indebita.

Per i suoi trascorsi professionali lei conosce molto bene il regno degli Al Saud. Secondo la sua esperienza quanto è cambiata realmente l’Arabia Saudita negli ultimi tempi, e quanto può ancora cambiare?

MBS ha impresso una tremenda accelerazione a un processo molto lento che la casa reale saudita stava portando avanti da anni, in materia di diritti sociali e politici delle donne, di gestione economica, di emancipazione dal petrolio, di apertura al mondo. La Vision 2030 è il paradigma di quanto possa ancora cambiare il Paese. La popolazione, a cominciare dalla fascia più giovane e in larga misura formatasi all’estero, guarda positivamente a questo orizzonte anche se ne teme le ricadute, principalmente in materia fiscale e di assistenzialismo, aspetti sui quali MBS ha dovuto fare marcia indietro.

Vision 2030 è un piano realizzabile oppure molto di questo progetto resterà solo sulla carta? E quale potrebbe essere la reazione del clero a un tale stravolgimento dell’Arabia Saudita?

È un piano estremamente ambizioso: indica una direzione più che un cronogramma e in tal senso sta impegnando il Paese intero. È destinato a subire correzioni e dilazioni, ma ha innescato un processo di vitale importanza per il Paese. La famiglia religiosa cerca di resistere ma l’umore prevalente in Arabia Saudita e la eco di quanto sta avvenendo a Il Cairo (in riferimento alla dialettica tra l’Università islamica di Al Azhar e il regime, ndr) la sta inducendo a fare buon viso a cattivo gioco.

Quanto è pericoloso lo scontro tra iraniani e sauditi? possibile che si possa arrivare ad uno scontro militare?

È rischioso perché investe non solo il tema la preminenza regionale ma anche la primazia nel mondo islamico che Riyadh (sunnita) rivendica quale Custode dei luoghi santi di Mecca e Medina e Teheran (sciita) cerca di delegittimare in nome della rivoluzione del 1979. Non credo che si arrivi allo scontro militare diretto perché nessuno dei due regimi ha interesse a uno sbocco simile che si rivelerebbe a dir poco devastante.

In conclusione, come descriverebbe il Medio Oriente in tre parole?

Centro del disordine mondiale.