Se fosse inglese, avrebbe la luna nel nome, e invece Moon Jae In è l’uomo del sole. Il presidente sudcoreano, alla Casa Blu dal maggio 2017, è stato uno dei maggiori sostenitori della sunshine policy, la politica di riconciliazione e di cooperazione inaugurata dal suo predecessore, Kim Dae-jung, che a partire dal 1998 ha permesso un riavvicinamento tra le due Coree, formalmente in guerra dal 1950. Il presidente venuto dal Nord – i genitori di Moon furono tra i rifugiati nordcoreani che durante le ostilità cercarono rifugio al Sud – ha dedicato il suo mandato a riportare la pace nel Paese della “calma del mattino”. Oggi i raggi della sunshine policy, ripresa da Moon, potrebbero condurre al tanto atteso trattato di pace che manca dal 1953, arrivando a sciogliere il ghiaccio della diffidenza reciproca e determinando il definitivo disgelo tra i due vecchi nemici.

Grazie al successo della sunshine policy, Kim Dae-jung venne insignito del Premio Nobel per la Pace e due presidenti sudcoreani si recarono in visita nella capitale del Nord. Negli anni precedenti si era diffusa l’idea, soprattutto in Occidente, che la capitolazione della Corea del Nord, come effetto collaterale del crollo dell’Unione Sovietica, fosse solo questione di tempo. Per questo motivo Pyongyang iniziò a stringere accordi di collaborazione con il Sud e tentò la strada della riunificazione sulla base di un sentimento nazionalistico, offrendo come contropartita la rinuncia al programma nucleare.

L’Agreed Framework del 1994 siglato dall’Amministrazione Clinton e dalla Corea del Nord prevedeva infatti lo stop al programma di costruzione dell’atomica in cambio della normalizzazione. Nonostante l’accordo, Stati Uniti e Corea del Sud continuarono a presupporre che il regime sarebbe collassato da un momento all’altro. Come avrebbe dimostrato la storia, il collasso non ci fu: la Corea del Nord resse l’urto causato dalla morte del suo fondatore Kim il Sung e sopravvisse al passaggio di consegne al figlio Kim Jong il, nonostante il perdurare di una grave crisi economica.

Il mancato crollo del regime nordcoreano portò il Sud a cambiare strategia. Il presidente sudcoreano Kim Dae-jung iniziò quindi a favorire una maggiore collaborazione con l’ingombrante vicino. Come è stato già sottolineato, la sunshine policy puntava in realtà a instaurare nel Nord una variante locale di perestrojka in attesa che il Paese cadesse nelle mani del Sud. Ciononostante, non si può negare che tale approccio abbia garantito alla penisola una certa stabilità, evitando l’escalation militare. Inoltre, gli accordi firmati tra il 2000 e il 2007, ispirati al principio della coesistenza pacifica, costituiscono le fondamenta del futuro processo di distensione, quel processo che oggi è portato avanti da Moon Jae in e dal leader nordcoreano Kim Jong un. Ma la preferenza per questo tipo di atteggiamento verso il Nord era già stata mostrata da Moon all’epoca della presidenza di Roh Moo-hyun. In quegli anni Moon fu posto a capo del staff presidenziale e la sunshine policy continuò a essere il caposaldo su cui costruire i rapporti con la Corea del Nord.

Il primo grande risultato del nuovo orientamento di Seoul verso Pyongyang arrivato grazie al presidente Moon è stata la partecipazione degli atleti nordcoreani alle Olimpiadi invernali di Pyeongchang 2018. Le due Coree, oltre a sfilare insieme, hanno anche presentato un’unica squadra di hockey sul ghiaccio femminile, composta da atlete nordcoreane e sudcoreane. Ma il maggiore merito di Moon è stato l’impegno profuso nel promuovere il dialogo tra Stati Uniti e Corea del Nord, impegno sfociato nello storico summit del 12 giugno tra il presidente americano Trump e il dittatore nordcoreano Kim Jong un sull’isola di Sentosa a Singapore.

 

Moon mediatore tra Kim e Trump

A fine aprile il presidente sudcoreano ha proposto Donald Trump come candidato al Premio Nobel per la Pace per gli sforzi compiuti a favore della denuclearizzazione della penisola coreana. Che Moon Jae in fosse molto ambizioso era ormai noto a tutti, ma in questo modo il capo della Casa Blu ha dimostrato di essere anche molto umile. Se c’è qualcuno che merita il premio, questo è proprio Moon che ha “salvato” il summit fra Trump e Kim prima che fosse cancellato. Moon con la sua diplomazia e il suo carisma ha portato i due leader ad avere un faccia a faccia senza precedenti nella storia, convincendo entrambe le parti ad aprirsi al dialogo e a superare mesi di dura ostilità durante i quali il presidente USA era arrivato a promettere «fuoco e furia» come risposta alle minacce di Kim.

Non a caso, quando Trump era sul punto di annullare il summit, Moon è volato a Washington e subito dopo ha incontrato il leader nordcoreano Kim Jong un mettendo in piedi un secondo vertice intercoreano non programmato. Quando Trump e Kim si sono incontrati a Sentosa, Moon ha guardato da lontano i frutti del suo lavoro. Lui, che aveva mosso i fili dell’incontro, non era a Singapore e non ha goduto del clamore e dei flash delle macchine fotografiche, ma la sua presenza si è fatta sentire lo stesso.

Mentre il summit Trump-Kim ha avuto un valore puramente simbolico, il vertice intercoreano del 27 aprile tra Moon e Kim ha certamente scritto un nuovo capitolo delle relazioni tra i due Paesi. Basti pensare che uno dei punti del documento congiunto firmato da Kim Jong un e Donald Trump riaffermava gli obiettivi già fissati nella Dichiarazione di Panmunjeom del 27 aprile. Trump non è riuscito ad avere da Kim nessuna rassicurazione sui tempi e sui modi necessari per realizzare la tanto attesa denuclearizzazione e niente di quanto definito nel documento firmato a Singapore ha aggiunto qualcosa di nuovo rispetto agli accordi siglati nel 1994 e nel 2005.

Kim non ha fatto altro che riproporre a Trump le solite promesse che la Corea del Nord ha più volte tradito in passato. Al contrario, il vertice intercoreano del 27 aprile ha segnato un passo importantissimo verso la pacificazione della penisola, perché Moon e Kim si sono impegnati a realizzare la “completa” denuclearizzazione in maniera graduale e a stipulare un trattato di pace. Inoltre, molti coreani non sono riusciti a trattenere le lacrime davanti alle emozionanti immagini di Moon che, invitato da Kim, oltrepassava la zona demilitarizzata e metteva per la prima volta piede sul suolo nordcoreano.

Infine, la concessione più importante di Trump alla Corea del Nord: la sospensione delle esercitazioni militari non ci sarebbe stata senza la disponibilità di Moon. La pensa così, per esempio, anche l’ex diplomatico indiano T.P. Sreenivasan. I war games erano un punto conteso anche dalla Cina che ha sempre considerato queste manovre una minaccia diretta non solo contro Pyongyang ma soprattutto contro Pechino. All’indomani del summit di Singapore, il segretario di Stato USA Mike Pompeo era già a colloquio da Moon a Seoul e questo la dice lunga su chi condurrà le trattative future.