Nagorno Karabakh: l’Azerbaigian mette l’Armenia alle strette

In Nagorno Karabakh, territorio dell’Azerbaigian, sotto occupazione militare da parte delle forze militari dell’Armenia da quasi trent’anni, si sono recentemente svolte delle cosiddette elezioni. Le reazioni della comunità internazionale hanno sottolineato nuovamente l’attenzione sulla violazione del diritto internazionale da parte dell’Armenia e le elezioni sono state condannate dal Gruppo Minsk dell’OSCE, Stati Uniti, Francia, Russia, dall’Unione Europea, dagli altri organismi internazionali, dai numerosi singoli paesi, inclusa Italia. La linea comune è quella di esprimere il sostegno all’integrità territoriale dell’Azerbaigian, non riconoscere le elezioni e proseguire con il processo di pace.

Bisogna ricordare che, in seguito allo scioglimento dell’URSS nel 1991, l’Armenia ha avanzato l’aggressione militare contro l’Azerbaigian, occupando militarmente la regione del Nagorno-Karabakh dell’Azerbaigian e sette distretti adiacenti, e commettendo la pulizia etnica contro tutti gli azerbaigiani nei territori occupati. In quella tragedia 30.000 persone furono uccise e più di un milione di azerbaigiani fu costretto a lasciare le propria casa.

Oggi l’emergenza internazionale del coronavirus dovrebbe portare ad un ripensamento dell’approccio a questo conflitto da parte dell’Armenia, inducendola a rispettare quanto stabilito dalle convenzioni internazionali, concentrano gli sforzi nella ripresa delle comunicazioni e delle attività economiche e senza sperperare ulteriori risorse nel conflitto del Nagorno Karabakh con l’Azerbaigian.

In questo contesto, il 21 aprile, il ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov, ha chiesto di proseguire i negoziati tra Azerbaigian e Armenia sostenendo l’appoggio della Russia a una soluzione graduale per la fine del conflitto. Il ministro ha fatto riferimento a una prima fase con la liberazione da parte delle truppe militari dell’Armenia di alcuni distretti dell’Azerbaigian adiacenti alla regione del Nagorno Karabakh, lo sblocco dei trasporti, l’avvio di comunicazioni precise e di relazioni economiche.

La posizione del ministro russo ha scatenato la reazione del ministro degli Esteri dell’Armenia, Zohrab Mnatsakanyan, che ha ribadito la contrarietà armena ad una soluzione graduale del conflitto: «Non ci sono concessioni e non ci saranno concessioni alcune», ha affermato.

A seguire, lo stesso giorno, si è svolta una videoconferenza congiunta dei ministri degli esteri dell’Azerbaigian e dell’Armenia e dei co-presidenti del gruppo OSCE di Minsk (Russia, Francia e gli Stati Uniti). Durante le consultazioni sono state discusse le future fasi del processo di risoluzione, in linea con la dichiarazione congiunta rilasciata a Ginevra il 30 gennaio 2020 (attuazione di accordi e proposte discusse nel 2019 e possibili fasi successive per preparare le popolazioni alla pace; principi e elementi alla base di una futura risoluzione, nonché tempi e agenda per far avanzare il processo di risoluzione). Si è riconosciuto che, a causa della straordinaria situazione derivante dalla pandemia internazionale, è stata posticipata l’attuazione di misure precedentemente concordate. È stato espresso inoltre l’auspicio che la risoluzione, vista come risposta alla pandemia globale, porti uno slancio creativo e costruttivo al processo di pace.

Il 24 aprile, in risposta alle osservazioni del ministro armeno, il Ministero degli Esteri della Russia ha rilasciato una dichiarazione:

«La soluzione della questione del Nagorno-Karabakh dovrebbe essere presa in considerazione nel quadro del formato esistente. La posizione della Russia come co-presidente del Gruppo OSCE di Minsk è stata ripetutamente comunicata in dichiarazioni congiunte dai principali leader di Russia, Stati Uniti e Francia, e si basa sui principi fondamentali dell‘Atto Finale di Helsinki, compresi i principi di non utilizzo della forza, integrità territoriale e diritto all’autodeterminazione. Tra gli elementi della soluzione contenuti in queste dichiarazioni vi sono il ritorno dei territori situati intorno al Nagorno-Karabakh, nonché la determinazione dello status giuridico finale del Nagorno-Karabakh per volontà della popolazione. Per quanto riguarda i documenti e le proposte che sono stati considerati e che si stanno considerando, il ministro degli Esteri della Federazione Russa Sergey Lavrov li ha elencati».

Nei numerosi interventi in merito alla questione, innescata dalle parole del ministro Lavrov, ha dato un contributo definitivo il ministro degli affari esteri dell’Azerbaigian Elmar Mammadyarov, con un’intervista esclusiva alla testata Minval, dove ha chiarito il processo dei negoziati e tutti gli elementi dello stesso.

Ribadendo il sostegno della parte azerbaigiana a «negoziazioni sostanziali e orientate ai risultati per risolvere il conflitto» ha sottolineato anche come «riferendosi sia alla legge suprema del nostro stato che al diritto internazionale, l’Azerbaigian ha tutto il diritto di ripristinare la sua integrità territoriale con tutti i mezzi entro i suoi confini internazionalmente riconosciuti, come riportato nella Carta delle Nazioni Unite, l’Atto finale di Helsinki, la Carta di Parigi e le note risoluzioni del Consiglio di sicurezza dell’ONU».

Il ministro azerbaigiano ha ricordato le parole della sua controparte russa, per una «soluzione graduale del conflitto, che per molti anni è stato oggetto di discussione e si riflette chiaramente nelle dichiarazioni dei copresidenti». Nelle parole di Mnatsakanyan per cui «la questione del ritorno delle terre non è stata considerata, e ha anche toccato questioni di sicurezza e il principio di autodeterminazione dei popoli», per Mammadyarov è evidente che Mnatsakanyan abbia fatto questo «attacco retorico per calmare il pubblico interno. Altrimenti, lo stesso Mnatsakanyan non si sarebbe unito alcune ore dopo questa dichiarazione per continuare i negoziati sotto forma di videoconferenza».

Inoltre Mammadyarov ha evidenziato con estrema chiarezza che la posizione azerbaigiana «è invariata e il suo unico scopo è liberare i territori internazionalmente riconosciuti e ripristinare i diritti dei nostri sfollati interni. In altre parole, il paese occupante ha finora espresso molte dichiarazioni, completamente prive di fondamento, fuorvianti e volte a ingannare la comunità internazionale. Ma la verità è irremovibile: il rantolo della legge e della sicurezza dopo la più grave violazione del diritto internazionale e la massiccia violazione dei diritti umani fondamentali non si adatta e non rientrerà mai in alcun quadro della legge e degli standard della comunità internazionale. Sentendosi guidato in un vicolo cieco nel quadro del processo di negoziazione, l’Armenia sta prendendo provvedimenti per interromperlo, portando avanti provocazioni». La volontà alla base delle azioni dell’Armenia è «danneggiare il processo di negoziazione, spostando la responsabilità in Azerbaigian. Ma, ripeto, l’Azerbaigian è unito nelle parole e nelle azioni, agiamo sempre onestamente e ci moviamo costantemente verso l’obiettivo. In questa materia, il diritto internazionale e la giustizia stanno alla nostra parte», ha sottolineato ancora Mammadyarov.

Il ministro azerbaigiano hanno messo in evidenza come i negoziati siano noti per essere riservati, ma il quadro generale fino ad oggi è già stato delineato dai co-presidenti, nonché nelle dichiarazioni a livello dei leader dei paesi co-presidenti.

«Tutti riflettono elementi di una soluzione graduale del conflitto, ovvero un’eliminazione graduale delle conseguenze del conflitto, in cui la fase iniziale è la liberazione dei territori occupati intorno al Nagorno-Karabakh, il ritorno degli azerbaigiani espulsi da questi territori alle proprie case e l’apertura delle comunicazioni tra l’Azerbaigian e l’Armenia. Si suppone quindi di garantire le condizioni per la vita congiunta di entrambe le comunità della regione del Nagorno-Karabakh per qualche tempo, tenendo conto nelle fasi successive dello status della regione nel quadro dell’integrità territoriale dell’Azerbaigian», ha sottolineato il ministro dell’Azerbaigian.

Il Ministro Mammadyarov ha evidenziato che «per la parte dell‘Armenia, che afferma che questi elementi non sarebbero stati discussi e che nessun documento si trova sul tavolo dei negoziati, invece di ingannare i loro compatrioti, sarebbe meglio, senza perdere tempo invano, preparare il proprio popolo alla pace, in quanto concordato di fronte alla comunità internazionale».

Mammadyarov ha concluso che «come persona che è stata direttamente coinvolta nei negoziati per molti anni, personalmente credo che ci sia un’opportunità per risolvere il conflitto attraverso i negoziati, è solo necessario che le parti mostrino volontà politica. Abbiamo sperimentato le devastazioni e le perdite che la guerra può portare, siamo ben consapevoli dei progressi che la pace può portare alla regione se il conflitto viene risolto e sappiamo quali sono le norme e i principi del diritto internazionale. È impossibile parlare di sicurezza senza eliminare il fattore di occupazione e dei diritti umani senza ripristinare i diritti fondamentali di centinaia di migliaia di persone. Se vogliamo la pace, la sicurezza, le normali relazioni di buon vicinato e, infine, il progresso, allora le gravi conseguenze del conflitto che ho indicato devono essere eliminate e gli stati devono rispettare l’un l’altro l’integrità territoriale all’interno dei loro confini internazionalmente riconosciuti. Non esiste altra formula per la pace».

L’intervista del ministro Mammadyarov è stata ripresa in massa dalla stampa armena, e, se quella vicina al governo sta cercando di sopire i malumori, la stampa indipendente del paese mette in luce il vantaggio ottenuto dall’Azerbaigian nell’ambito dei negoziati.