Navalny

Giornalista e massima esperta in Italia di Russia e Putin, dal 1992 Anna Zafesova scrive per La Stampa ed è analista politica per Il Foglio e Linkiesta. A fine maggio con Paesi Edizioni ha pubblicato il libro Navalny contro Putin, al cui interno sono rivelati fatti inediti e segreti del potere putiniano e del suo cerchio magico. Ecco perché, secondo lei, può essere il «martire» Navalny, con il suo movimento sempre più esteso, a porre fine al lungo governo del capo del Cremlino.

Perché queste proteste contro il governo russo sono «diverse» rispetto a quelle degli scorsi anni?

Possiamo parlare di due grandi ondate di proteste: quella del 2011 e del 2012 durante le elezioni per il rinnovo della Duma; e quelle che sono riprese su larga scala a partire dal 2017 e che poi sono proseguite per vari pretesti – dalla riforma dell’età pensionistica al voto amministrativo di Mosca – fino alle ultime di questi mesi. Dal 2017 in poi tutte le proteste sono ispirate e gestite dal movimento di Navalny. Già nel 2011, però, Navalny aveva fatto irruzione nella scena politica dell’opposizione russa da personaggio ai margini dello star system. All’epoca l’opposizione era spezzettata in tanti piccoli gruppi. In questo quadro frammentato lui presto è diventato un primus inter pares perché aveva la capacità di smuovere le piazze. Cosa che sta continuando a fare.

Perché Navalny è riuscito a fare breccia in una parte sempre più ampia del popolo russo?

Principalmente per motivi sociali. La protesta del 2011-2012 ha avuto il limite di rimanere confinata nelle due capitali, Mosca e San Pietroburgo. Era dunque una protesta molto elitista, rappresentata da diverse figure estremamente brillanti, con un curriculum da oppositori assolutamente impeccabile e con il cavallo di battaglia della rivendicazione delle libertà politiche. Libertà del voto anzitutto, e poi libertà di stampa. Queste figure parlavano anche di un modello più europeo per lo sviluppo della Russia, ma in un contesto molto diverso: non c’erano state infatti ancora l’invasione della Crimea da parte della Russia e la guerra nel Donbass. Rispetto a oggi la Russia sembrava un sistema parademocratico con un autoritarismo molto blando che, da lì, avrebbe però iniziato un giro di vite per diventare sempre più autoritario fino a diventare la dittatura che è oggi. Molti dei leader di quell’opposizione non ci sono più come Boris Nemcov (assassinato il 27 febbraio 2015 a Mosca, ndr). In quella piazza c’erano ambientalisti, c’era gente che protestava contro i privilegi dei funzionari e dei burocrati che se ne vanno in giro investendo pedoni, e ancora Ong, «pirati», anarchici, estrema sinistra e lo spirito liberale delle capitali che avevano sempre un ruolo dominante. Si trattava di una protesta della «classe urbana creativa arrabbiata», come la definì all’epoca uno spin doctor di Putin.

Cosa è cambiato, invece, con la protesta di oggi?

Quella di oggi è molto di più di una protesta di rabbia. Innanzitutto è cambiata una generazione. Chi protesta oggi dieci anni fa era a casa perché era ancora bambino. È una protesta molto più trasversale. Oltre che a Mosca, le manifestazioni partono da Vladivostok e arrivano fino a San Pietroburgo. E sono molto più eterogenee. Chi vi partecipa sono giovani che non si ricordano più l’Urss, e che dunque sono immuni alla propaganda nostalgica di Putin – basata sulla paura del caos degli anni Novanta – banalmente perché negli anni Novanta non erano neppure nati. Inoltre, come detto, questa è una protesta che ha una forte componente sociale, che quindi non è condannata a rimanere elitista. E che fa leva sulle denunce fatte dalla fondazione di Navalny contro la corruzione, contro lo stato disastroso della sanità russa, contro il disagio delle provincie, per la difesa del welfare e dei lavoratori.

Per chi è giornalista, esistono ancora margini per fare informazione liberamente in Russia?

È praticamente impossibile. Solo nelle ultime settimane c’è stato un giro di vite senza precedenti contro i giornalisti che lavorano per testate indipendenti. Buona parte della rivoluzione di cui stiamo parlando si sta compiendo tra YouTube, i blog e i siti, e non sulla carta stampata e nelle tv che sono ormai tutte controllate dal governo. L’ultima testata giornalistica indipendente rimasta, Novaja Gazeta, ha subìto un attacco chimico nel pieno centro di Mosca davanti alla propria redazione. Medusa, testata online posta sotto censura dal governo, è stata dichiarata agente straniero. I redattori del giornale studentesco Doxa sono finiti agli arresti domiciliari. Altre star di YouTube sono state incriminate o indagate con accuse false. La Fondazione per la lotta alla corruzione di Navalny, che fa giornalismo investigativo, è costantemente nel mirino delle autorità. È ormai imminente la sua classificazione tra le organizzazioni estremiste al pari di Al Qaeda e Isis. Il rischio è che chiunque la voglia appoggiare o finanziare finirà per essere accusato di estremismo. È in atto una campagna di purghe contro chi non la pensa come il pensiero ufficiale. Le persone che si sono registrate alle manifestazioni contro il governo hanno visto finire i loro dati in rete. Tante sono state convocate dai loro datori di lavoro e dai rettori delle università che frequentano per essere licenziate o espulse.

Navalny avrà pur delle ombre. Oppure no?

La santità non è un requisito della politica. Sul fatto che Navalny sia un politico corrotto non è stato trovato mai niente. Si dice che sia un agente straniero, e questo per una società che è diventata molto nazionalista negli ultimi anni non è accettabile. Ma la domanda vera da porsi è perché non piace a tanti russi. Non tutta la società russa condivide le sue idee di democrazia e le sue battaglie, ad esempio quella contro la corruzione. In Russia la corruzione riguarda i vertici dello Stato ma è anche diffusa, sviluppandosi in maniera piramidale dall’alto fino al livello locale. Lo vediamo al Cremlino, ma anche in ogni regione e città, in ogni ospedale e università, dove chi detiene il potere lo fa valere in modo assoluto sui suoi sottoposti. Molte persone non sono favorevoli a un sistema più trasparente che le esporrebbe a maggiori controlli e, di conseguenza, a maggiori rischi. Poi ci sono molte persone che vorrebbero tornare all’Unione sovietica. I più anziani vorrebbero un ritorno a un sistema più autoritario ma anche più protettivo e paternalista che gli dia più sicurezze economiche e sociali. Per i russi la caduta dell’Urss è stata uno shock. Siccome Navalny propone una rivoluzione, e siccome il sistema russo è talmente rigido che non può essere cambiato con una rivoluzione soft ma a martellate, tanti hanno paura di un altro sconvolgimento. Sfilando quel bastoncino su cui si regge tutto, crollerebbe ogni cosa. E di fronte a questo scenario, molti vogliono essere lasciati in pace.

Intervista pubblicata su
Tramonto Russo
Babilon Magazine n. 4
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