Burundi
Africa
Il Burundi nasce come monarchia costituzionale nel 1962 quando ottiene l’indipendenza dal Belgio. Da allora le rivalità tra i due principali gruppi etnici, i tutsi e gli hutu, sono scoppiate in violente rivolte che hanno portato a una serie di colpi di stato, al massacro degli hutu nel 1972 e a un massiccio esodo verso il Ruanda. Il primo presidente eletto democraticamente nel 1993 è Melchior Ndadaye, leader del FRODEBU (Fronte per la Democrazia in Burundi). Questi viene assassinato tre mesi dopo e nel Paese si riaccende il conflitto che causerà altri 300mila morti in dodici anni. Nel 2003 le forze governative tutsi e quelle di opposizione hutu raggiungono faticosamente un accordo grazie all’intermediazione del Sud Africa. Le elezioni del 2010 hanno confermato alla presidenza Pierre Nkurunziza, già Presidente dal 2005, nonostante le accuse di brogli da parte dell’opposizione. Da allora si è registrato un aumento degli omicidi politici, denunciati sia da Human Rights Watch che dall’ONU, che rischiano di far ripiombare il Paese nella guerra civile.
Il Burundi è un Paese povero con un’economia a livello di sussistenza, con un settore manifatturiero e industriale poco sviluppato e un settore agricolo che impiega il 90% della popolazione. Le principali coltivazioni sono quelle legate all’agricoltura di sussistenza (mais, miglio, sorgo, manioca, patate, legumi) e a piantagioni come caffè, cotone e tè. In particolare, il caffè rappresenta circa il 90% del valore delle esportazioni. Più che investimenti diretti esteri in senso proprio, il Burundi è destinatario di aiuti: nel febbraio 2012 è stato firmato un accordo con l’FMI per un programma a sostegno del debito pubblico, dell’imprenditoria, per un tasso di cambio più flessibile e per l’integrazione della politica macroeconomica burundese con quella degli altri membri della comunità africana orientale. Secondo un rapporto della Banca mondiale sull’imprenditorialità, il problema della carenza delle infrastrutture – in particolare dell’energia elettrica – rappresenta un problema per il 72% delle imprese. Le prospettive di crescita dipenderanno dalla realizzazione delle riforme economiche programmate dal governo, da un clima imprenditoriale più favorevole e dalle riforme strutturali nei settori dell’energia e del caffè.
Nonostante il miglioramento del dopo-guerra civile, il clima politico in Burundi rimane teso. La corruzione, gli omicidi politici, le esecuzioni extragiudiziali e il conflitto sociale latente sono fattori di instabilità che rischiano di far saltare i precari equilibri e di far ripiombare il Paese in un conflitto interno. Le disparità tra la classe dominante dei tutsi e gli hutu non sono ancora scomparse e alimentano il dissenso. Il clima politico a sua volta ha ripercussioni sulle prospettive di crescita, alimentando un ambiente sfavorevole all’imprenditoria e agli investimenti, mentre l’aumento della disoccupazione alimenta altro malcontento. Vi sono inoltre questioni non risolte, come i quasi 50mila profughi rifugiatisi in Tanzania che non riescono a rientrare nel Paese, oltre a questioni sociali (un alto tasso di analfabetismo, il 15% della popolazione infetta da hiv/aids, un sistema legale carente, mancanza di un’adeguata reti di trasporti) che richiederebbero interventi strutturali da parte del governo. Il Burundi è un Paese a rischio anche per quanto riguarda la minaccia terrorismo: il gruppo Shabaab ha pubblicamente minacciato di compiere attentati nel Paese a causa del suo sostegno alla missione di peacekeeping in Somalia.
Capitale: Bujumbura
Ordinamento: Repubblica parlamentare
Superficie: 27.830 km²
Popolazione: 10.888.321
Religioni: cristiana (67%), culti locali (23%)
Lingue: kirundi (ufficiale), francese
Moneta: franco del Burundi (BIF)
PIL: 600 USD
Livello di criticità: Alto
Il Burundi nasce come monarchia costituzionale nel 1962 quando ottiene l’indipendenza dal Belgio. Da allora le rivalità tra i due principali gruppi etnici, i tutsi e gli hutu, sono scoppiate in violente rivolte che hanno portato a una serie di colpi di stato, al massacro degli hutu nel 1972 e a un massiccio esodo verso il Ruanda. Il primo presidente eletto democraticamente nel 1993 è Melchior Ndadaye, leader del FRODEBU (Fronte per la Democrazia in Burundi). Questi viene assassinato tre mesi dopo e nel Paese si riaccende il conflitto che causerà altri 300mila morti in dodici anni. Nel 2003 le forze governative tutsi e quelle di opposizione hutu raggiungono faticosamente un accordo grazie all’intermediazione del Sud Africa. Le elezioni del 2010 hanno confermato alla presidenza Pierre Nkurunziza, già Presidente dal 2005, nonostante le accuse di brogli da parte dell’opposizione. Da allora si è registrato un aumento degli omicidi politici, denunciati sia da Human Rights Watch che dall’ONU, che rischiano di far ripiombare il Paese nella guerra civile.
Il Burundi è un Paese povero con un’economia a livello di sussistenza, con un settore manifatturiero e industriale poco sviluppato e un settore agricolo che impiega il 90% della popolazione. Le principali coltivazioni sono quelle legate all’agricoltura di sussistenza (mais, miglio, sorgo, manioca, patate, legumi) e a piantagioni come caffè, cotone e tè. In particolare, il caffè rappresenta circa il 90% del valore delle esportazioni. Più che investimenti diretti esteri in senso proprio, il Burundi è destinatario di aiuti: nel febbraio 2012 è stato firmato un accordo con l’FMI per un programma a sostegno del debito pubblico, dell’imprenditoria, per un tasso di cambio più flessibile e per l’integrazione della politica macroeconomica burundese con quella degli altri membri della comunità africana orientale. Secondo un rapporto della Banca mondiale sull’imprenditorialità, il problema della carenza delle infrastrutture – in particolare dell’energia elettrica – rappresenta un problema per il 72% delle imprese. Le prospettive di crescita dipenderanno dalla realizzazione delle riforme economiche programmate dal governo, da un clima imprenditoriale più favorevole e dalle riforme strutturali nei settori dell’energia e del caffè.
Nonostante il miglioramento del dopo-guerra civile, il clima politico in Burundi rimane teso. La corruzione, gli omicidi politici, le esecuzioni extragiudiziali e il conflitto sociale latente sono fattori di instabilità che rischiano di far saltare i precari equilibri e di far ripiombare il Paese in un conflitto interno. Le disparità tra la classe dominante dei tutsi e gli hutu non sono ancora scomparse e alimentano il dissenso. Il clima politico a sua volta ha ripercussioni sulle prospettive di crescita, alimentando un ambiente sfavorevole all’imprenditoria e agli investimenti, mentre l’aumento della disoccupazione alimenta altro malcontento. Vi sono inoltre questioni non risolte, come i quasi 50mila profughi rifugiatisi in Tanzania che non riescono a rientrare nel Paese, oltre a questioni sociali (un alto tasso di analfabetismo, il 15% della popolazione infetta da hiv/aids, un sistema legale carente, mancanza di un’adeguata reti di trasporti) che richiederebbero interventi strutturali da parte del governo. Il Burundi è un Paese a rischio anche per quanto riguarda la minaccia terrorismo: il gruppo Shabaab ha pubblicamente minacciato di compiere attentati nel Paese a causa del suo sostegno alla missione di peacekeeping in Somalia.