Nell’agosto del 2015, poche settimane dopo aver fatto piangere in televisione una bambina palestinese senza permesso di soggiorno (alla quale aveva assicurato, benché dispiaciuta, l’espulsione), Angela Merkel apre i confini tedeschi ai profughi siriani, iracheni e afghani che premono sulla Grecia e più a nord sull’Ungheria, e che chiedono asilo alla Germania e alla Svezia. Gli alleati di governo, di nuovo i socialdemocratici, non si oppongono.

Mettersi più a destra della cancelliera non avrebbe senso, e d’altronde i tedeschi rispondono con entusiasmo al gesto di solidarietà dettato da Merkel contro l’avviso di tutti, a cominciare dai suoi più vicini collaboratori. Tuttavia, l’entusiasmo si trasformerà presto in insofferenza per un’ondata umana imponente – 1,1 milioni di persone in pochi mesi – mal gestita da una macchina organizzativa che non era stata sufficientemente preparata all’impatto.

Il 31 agosto, poco dopo aver visitato un campo profughi a Dresda, la leader tedesca assicura «Wir schaffen das», ce la faremo a superare la crisi dei rifugiati. «Wir haben sovieles geschafft», abbiamo fatto così tanto come Paese, ricorda Merkel con una punta d’orgoglio, che supereremo con successo anche questa crisi migratoria. Così replica ai primi buu e ai fischi ricevuti in quella visita. Le sue parole si frantumeranno davanti alle gravi difficoltà burocratiche dell’Agenzia per i profughi (dalla carenza di funzionari e interpreti ai numerosi casi dei rifugiati che si registravano con più identità, tutte false), davanti all’esplosione dei costi, alle liti tra i Länder che non volevano accogliere gli stranieri, ai casi di violenza all’interno delle strutture tra rifugiati di Paesi e culture diverse e poi all’esterno tra tedeschi e rifugiati e, ancora, davanti alla crescita soprattutto all’est di movimenti apertamente xenofobi, come Pegida. Peggio ancora, mentre Merkel rassicura l’opinione pubblica, il terrorismo islamico comincia a farsi vivo in Germania facendo di quel «ce la faremo» l’uscita più avventata di una cancelliera altrimenti bravissima a entrare in sintonia con la maggioranza del Paese.

La politica dell’accoglienza è la prima grande crepa nel sistema merkeliano: l’integrazione non è una passeggiata – vedi per esempio alla voce molestie sessuali di piazza a Capodanno 2016 a Colonia – e molti tedeschi si scoprono a poco a poco islamofobi. È in questo modo che i sovranisti tedeschi dell’Alternative für Deutschland (AfD), faranno incetta dei voti dei delusi della Cdu. Della Cdu, si badi, e non di Merkel che, anche nell’ora più buia, resta secondo tutti i sondaggisti il leader politico più amato dai tedeschi (curiosamente meno all’est che all’ovest, a conferma del suo essere una Ossi atipica).

Dal libro
Angela e Demoni
di Daniel Mosseri