A seguito di una serie di violenze che minacciano la vita dei suoi lavoratori, lunedì 20 novembre l’organizzazione internazionale di soccorso sanitario Medici Senza Frontiere (MSF) ha evacuato tutti i 58 membri dello staff nazionale e internazionale e sospeso le operazioni mediche da Bangassou, città nel sud-est della Repubblica Centrafricana. Questo perché la città è finita sotto il controllo di gruppi armati affiliati alle fazioni anti-Balaka.

Mentre il 15 novembre, nella capitale Bangui, nel quartiere musulmano PK5 uomini armati hanno assaltato un caffè, lasciando a terra almeno 7 cadaveri e una ventina di feriti. La stampa locale ha parlato delle «prime significative violenze da mesi». In effetti, da quando nel giugno scorso era stato firmato a Roma un accordo tra i diversi gruppi politico-militari del paese, grazie anche all’intermediazione della Comunità di Sant’Egidio, la situazione era migliorata. Ma quiete non significa per forza pace.

Le esecuzioni sommarie non sono una novità nel paese

Padre Federico Trinchero, missionario carmelitano scalzo che opera al locale Convento di Nostra Signora del Monte Carmelo, ha spiegato alla rivista Africa che la situazione attuale resta «ancora sotto controllo» perché «c’è una presenza massiccia dell’Onu, quindi è veramente difficile che la situazione degeneri com’era successo nel 2013-2014».

Il riferimento è agli scontri interetnici tra i gruppi armati Seleka e milizie anti-Balaka, esplosi in seguito al rovesciamento di François Bozizé nel marzo 2013 per mano dei Seleka.

Da allora, la Repubblica Centrafricana è stata travolta da un’ondata di violenze. I ribelli Seleka, a maggioranza musulmana, e le milizie degli anti-Balaka, per lo più animisti e cristiani, da quella data si sono affrontati in attacchi ciclici e rappresaglie che hanno provocato migliaia di vittime tra i civili e centinaia di migliaia di sfollati verso i Paesi limitrofi. Sino all’intervento dei caschi blu dell’ONU (Operazione MINUSCA) e al cessate-il-fuoco siglato a Brazzaville, nella Repubblica del Congo, tra Seleka e anti-Balaka.

A questa piaga va aggiunta la perdurante attività, nell’est del Paese, delle milizie ribelli ugandesi del Lord’s Resistance Army (LRA). Secondo due ong americane, Invisible Children e The Resolve LRA Crisis Initiative, dall’inizio del 2016 i miliziani di LRA avrebbero rapito solo in Repubblica Centrafricana oltre duecento persone, di cui una cinquantina di bambini (il doppio rispetto al 2015). Il gruppo ribelle, di matrice cristiana, é nato negli anni Ottanta nel nord dell’Uganda e opera sin da allora nei vicini Sud Sudan e Repubblica Democratica del Congo, continuando a mietere vittime ogni qual volta sconfina in Repubblica Centrafricana.

 

L’intervento ONU e i numeri della crisi

 

In Repubblica Centrafricana oggi la missione di peacekeeping MINUSCA (United Nations Multidimensional Integrated Stabilization Mission in the Central African Republic) è ancora operativa e si avvale del contributo di 12.500 uomini. Ma la presenza dei caschi blu delle Nazioni Unite non ha ancora permesso la fine delle violenze e il disarmo completo delle numerose milizie locali che, in assenza di un vero e proprio esercito, continuano a spadroneggiare in tutto il paese.

Le zone più critiche in questo senso sono Bangassou, Bria e Bocaranga, dove le tensioni continuano a generare violenze e flussi di profughi. Soltanto lo scorso ottobre, il portavoce della missione MINUSCA, Vladimir Monteiro, ha denunciato decine di morti a Bangassou in seguito a scontri esplosi tra fazioni rivali in seno alle milizie islamiste ex Seleka: l’Unità per il Centrafrica (Upc) e il Fronte popolare per la rinascita del Centrafrica (Fprc).

Caschi Blu dell’Operazione MINUSCA

Secondo una relazione dell’Onu, tra il novembre 2016 e il febbraio 2017 sono almeno 133 i civili uccisi da gruppi armati in due province del Paese. Mentre il numero di rifugiati e popolazione in fuga ha ormai superato il milione di persone, cioè quasi un quarto del totale (4,7 milioni). Di questi, circa 513mila si sono rifugiati nei paesi vicini e altri 600mila restano all’interno del paese. Le Nazioni Unite sono preoccupate anche dalla situazione riguardante la sicurezza e i diritti umani: l’ultimo rapporto documentava 1.301 abusi subiti da almeno 2.473 persone, il 70% dei quali si era verificato tra il  2014 e il 2015. Inoltre, secondo la Banca mondiale la sopravvivenza di metà della popolazione in Repubblica Centrafricana dipende interamente dagli aiuti umanitari e più di tre quarti sono le persone in stato di povertà estrema.

Medici Senza Frontiere, che lavora nella Repubblica Centrafricana dal 1997, rimane operativa in dieci località in tutto il paese: Bria, Bambari, Alindao, Batangafo, Kabo, Bossangoa, Boguila, Paoua, Carnot e Bangui. Nel 2016 ha fornito un milione di visite mediche, vaccinato 500mila bambini contro varie malattie, eseguito 9mila interventi chirurgici e assistito 21mila nascite nel paese. Dall’inizio del 2017, però, causa l’intensificarsi del conflitto armato nel paese, ha dovuto chiudere 4 dei suoi 16 progetti medici (tra cui Bangassou e Zemio). Il che rappresenta uno dei principali campanelli d’allarme per la tenuta della pace nel paese.