Con una clamorosa azione militare i ribelli Houthi dello Yemen hanno attaccato nella notte con dei droni due importantissimi campi petroliferi in Arabia Saudita. I ribelli yemeniti hanno rivendicato gli attacchi nei campi di Buqyak, il centro più importate per il trattamento del petrolio al mondo, e nel campo di Khurais dove si estrae il greggio. A nulla sono servite le mitragliatrici a protezione degli impianti. Allo stato attuale, non sono stati resi noti i dettagli su eventuali vittime, feriti e danno causati alle infrastrutture petrolifere, tuttavia le immagini della televisione saudita sono impressionanti. I ribelli yemeniti, nel conflitto voluto dall’Arabia Saudita e che dura ormai da 4 anni, possono contare sul sostegno militare dell’Iran.
Entrambe le strutture attaccate dal gruppo sciita dello Yemen sono di proprietà della Saudi Aramco, compagnia nazionale saudita di idrocarburi. Saudi Aramco con i suoi 10 milioni di barili al giorno è tra le più grandi compagnie petrolifere del mondo ma è anche il più importante finanziatore del governo saudita. Il 100% delle sue azioni sono saldamente nelle mani degli emiri di Riad, che dalle casse della società hanno sempre attinto a piene mani portando anche per questo il Paese, vicino al crack finanziario. Occorre ricordare che Saudi Aramco è un elemento centrale di Saudi Vision 2030, ambizioso piano di sviluppo voluto dall’erede al trono Mohammed Bin Salman Al Saud che prevede tra le molte cose anche la collocazione in borsa di una parte (il 5%) del pacchetto azionario della società petrolifera. Secondo il quotidiano economico italiano Il Sole24ore, dopo molti rinvii i sauditi avrebbero deciso di procedere con l’operazione, affidando ad un pool di banche lo sbarco in borsa che andrà a finanziare il gigantesco piano di MBS.
L’operazione odierna dei ribelli sciiti yemeniti dimostra che la loro capacità militare e di attacco è notevolmente migliorata. Lo stesso vale per la capacità di gestire velivoli del tipo UAV-X (droni molto probabilmente di fabbricazione cinese) forniti loro dall’Iran, nemico giurato dei sauditi. Con questi droni che sono capaci di volare per 1500 chilometri, nessuno può considerarsi più al riparo sia in Arabia Saudita che negli Emirati Arabi Uniti. Quanto accaduto non fa altro che aumentare le tensioni tra sauditi e iraniani. Ma non solo. Se dovesse arrivare una reazione muscolare saudita, nessuno può facilmente immaginare le conseguenze per tutta l’area, attaccata a fragilissimi equilibri.
Stefano Piazza
Giornalista, attivo nel settore della sicurezza, collaboratore di Panorama e Libero Quotidiano. Autore di numerosi saggi. Esperto di Medio Oriente e terrorismo. Cura il blog personale Confessioni elvetiche.
Le origini di Recep Tayyip Erdogan
1 Giu 2023
Era una promessa del calcio. Ma il destino e un padre autoritario hanno voluto che ai campi da gioco preferisse l’arena…
Come applicare in Italia il modello New York
25 Mag 2023
A partire dal 26 maggio arriva nelle librerie italiane un saggio che racconta la nuova immagine di New York City,…
Erdogan e il sogno infranto del neo-ottomanesimo
14 Mag 2023
Riprendendo i princìpi del nazionalismo turco ereditati da Ataturk, e combinandoli con un forte richiamo alla…
C’è un «altro» Donbass in Medio Oriente
20 Feb 2023
È il tempo dei «Donbass multipli», per riprendere una felice definizione dell'analista Marco Florian. Vediamone uno che…