Ridotto di due terzi il tempo per fermare l’emergenza climatica

Nel 2010 il mondo pensava di avere a disposizione 30 anni, ora ne restano 10. La previsione pubblicata da “Nature” sui dati emersi dall’Emissions Gap Report diffuso dell’Unep / Legge europea sul clima, necessaria la riduzione del 65% delle emissioni al 2030 / Le proposte di Legambiente per rilanciare il sogno europeo

Lo stallo politico dell’ultimo decennio sui cambiamenti climatici ha ridotto di due terzi i tempi di azione per provare a frenare quest’emergenza. Se infatti nel 2010 il mondo pensava di avere trent’anni di tempo per dimezzare le emissioni globali di gas serra, oggi quel tempo si è ridotto a soli dieci anni. A dirlo è la rivista Nature che ha analizzato in prospettiva i dati emersi dall’Emissions Gap Report diffuso dall’Unep (United Nations Environment Programme).

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Ma non solo. Anche qualora le azioni promesse da tutti i Paesi per abbattere le emissioni dovessero effettivamente concretizzarsi, l’obiettivo del dimezzamento al 2030 non verrebbe comunque raggiunto. E ciò accadrà semplicemente per tre motivi.

Il primo motivo. Gli obiettivi che la comunità internazionale si è posto con l’Accordo di Parigi sul clima del 2015 (limitare l’aumento della temperatura a 1,5° rispetto ai livelli preindustriali) sono inadeguati rispetto alla catastrofe climatica che abbiamo di fronte.

Il secondo motivo. Le emissioni globali annue di gas serra sono aumentate del 14% tra il 2008 e il 2018. Ciò significa che la loro diminuzione dovrà avvenire molto più rapidamente rispetto a quanto era stato precedentemente stimato, il che è però altamente improbabile – se non del tutto impossibile – alla luce delle azioni politiche messe in campo finora, considerando anche il fatto che dal 2015 il calo stimato delle emissioni entro il 2030 è solo del 3%.

Il terzo motivo. Alcune delle potenze planetarie in cui si concentrano i flussi di produzione più inquinanti, Stati Uniti in primis, si siano tirati fuori da questa partita, di certo non fa ben sperare per il futuro.

Non manca comunque anche qualche segnale positivo. Il primo di questi è che negli ultimi anni un numero sempre maggiore di Paesi, regioni, città e società private si sta impegnando per fare di più per diminuire il proprio impatto ambientale. Tra i casi più virtuosi ci sono il Costa Rica, Shenzhen in Cina e Copenaghen, che hanno puntato con forza sulle fonti energetiche rinnovabili e sulla mobilità elettrica. Regno Unito e California hanno invece fissato degli obiettivi ambiziosi per la graduale decarbonizzazione dei propri sistemi industriali. E 26 banche hanno deciso di ritirare i loro finanziamenti per la realizzazione di nuove centrali elettriche a carbone. Il problema però è che nell’insieme queste “buone pratiche” rappresentano solo circa il 21% delle emissioni globali di gas serra.

Se c’è un fattore che lascia ben sperare a cui potersi appigliare al momento rimanda ai costi legati all’utilizzo di energie rinnovabili, che si stanno abbassando più rapidamente del previsto. Al punto che allo stato attuale le rinnovabili rappresentano la fonte energetica di ultima generazione più economica al mondo. Il che rappresenta senza ombra di dubbio un incentivo per innescare un’elettrificazione dei processi produttivi con basse emissioni di carbonio su larga scala.

Pubblicato su La nuova ecologia