Negli ultimi anni, il Paese che ha accresciuto sempre di più il suo peso in Asia Centrale è stata la Cina. Forte del suo sviluppo economico, gli investimenti nella regione sono aumentati tanto da far diventare Pechino il principale partner commerciale delle cinque Repubbliche della regione: Kazakistan, Kirghizistan, Tajikistan, Turkmenistan e Uzbekistan. A partire dal 2014 l’Asia Centrale è diventata uno dei sei corridoi sui quali si sviluppa tutto il progetto della «Nuova Via della Seta» e che, sulla carta, coinvolge direttamente Kazakistan, Uzbekistan e Kirghizistan. Un caso particolare è invece quello del Tajikistan, che ospita una base militare cinese seppure questa non sia ufficialmente riconosciuta. Ma gli affari che legano Pechino a questa parte dell’Asia sono molti altri. La Cina è il maggior creditore di Tajikistan e Kirghizistan. Il problema, però, è che nonostante continui a lievitare, questo debito non rappresenta una grande risorsa per il governo cinese. Il maggiore problema con cui la Cina deve fare i conti in Asia Centrale è che i suoi investimenti sono percepiti come una minaccia dalla popolazione locale. La sinofobia si è fatta ancora più contagiosa con la crisi sanitaria innescata dalla pandemia. Superata la prima fase dell’emergenza, il governo cinese ha subito voluto aumentare il volume di investimenti nella regione per recuperare il tempo perduto. Ma la paura degli Stati destinatari di veder aumentare il loro debito, mischiata al timore delle popolazioni locali che dietro queste manovre economiche vi sia un tentativo sempre meno velato del governo cinese di allargare la propria sfera di influenza, stanno complicando i piani della Cina.

Il ritorno degli Usa

A provare a soffiare su queste diffidenze sono ciclicamente gli Stati Uniti. Nell’ultimo anno e mezzo, gli Usa hanno ricominciato a interessarsi alla regione dopo averla dimenticata per lungo tempo. Questo «ritorno» è dovuto principalmente all’evoluzione della crisi afghana, che insieme alla promozione dei diritti umani e della democrazia nella regione è il fulcro della «New Us Strategy for Central Asia 2019-2025». La strategia è stata approvata dall’Amministrazione Trump, ed è rimasta valida anche per Biden che ha bisogno di nuovi ring in cui «mostrare i muscoli» contro la Russia e la Cina. Per farlo Biden potrà anche contare sul Forum 5+1, inaugurato a inizio 2020 con la visita dell’ex segretario di Stato Mike Pompeo nella regione e che ha aperto una nuova pagina nelle relazioni tra gli Stati Uniti e i Paesi dell’Asia Centrale. Le pedine che Washington punta a muovere nella regione sono i due attori principali, ovvero Uzbekistan e Kazakistan, su cui pioveranno nei prossimi anni milioni di dollari in investimenti privati.

Garantisce Mosca

Con la leadership nell’Unione Economica Eurasiatica e nell’Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva (Csto), Mosca riesce ancora a mantenere un ruolo primario nella regione. Vale per i rapporti militari, considerato che in Kirghizistan c’è una base russa a Kant e che il Kazakistan partecipa attivamente alle esercitazioni della Csto. E vale per i rapporti economici: dalle rimesse provenienti dalla Russia per Kirghizistan e Tajikistan, alle esportazioni petrolifere del Kazakistan che transitano per il network di oleodotti e gasdotti russi, fino alle sovvenzioni dirette ai singoli Stati da parte di Mosca.

Tutto ciò fa di Mosca il partner principale delle cinque repubbliche, senza dimenticare che il potere russo a garantire la stabilità interna dei regimi locali. L’ultimo esempio è degli ultimi mesi e ha a che fare con l’emergenza Covid-19. Tutti i Paesi della regione si sono rivolti alla Russia per le loro campagne di vaccinazione e hanno avuto accesso allo Sputnik V, ancor prima di ricevere le dosi dal programma delle Nazioni Unite «Covax». L’unica azione cinese anti-Covid è stata invece il test del vaccino ZF2001 in Uzbekistan nelle scorse settimane. Grazie a queste misure, la Russia è riuscita a mantenere un peso maggiore rispetto ai suoi rivali.

Sul fronte opposto, la strategia di Washington ha indubbiamente dei punti di forza, a cominciare dal perseguimento della stabilità dell’Afghanistan che interessa anche gli altri Paesi della regione, che però non vedono di buono occhio il tentativo – più formale che concreto – degli Usa di pretendere da loro dei passi in avanti sul piano democratico. Pechino invece soffre, come detto, un «problema di immagine» con le popolazioni locali che può solo acuirsi se non si trova un compromesso sul rientro dagli enormi debiti contratti da Tajikistan e Kirghizistan. Sfruttando queste debolezze dei suoi avversari, il suo disinteresse verso i princìpi democratici e il vaccino Sputnik V, Mosca si è così garantita un posto al sole in Asia Centrale.

di Cosimo Graziani

Tratto da
Tramonto russo
Babilon 4
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