Siberia, disastro ambientale made in Russia

La Russia si trova nuovamente a fronteggiare un disastro ambientale. Il 29 maggio, vicino a Norilsk, nella regione russa del Krasnojarsk della Siberia settentrionale, si è verificato un incidente in una centrale elettrica. Anche in questo caso, il Cremlino sembra confermare le sue problematiche comunicative e gestionali. Poco importa che la negligenza comunicativa della Nornickel abbia scatenato le ire di Putin, queste ultime non salveranno certo le acque del fiume Ambarnaya.

Esattamente un anno fa fonti mediatiche vicine al Cremlino esaltavano i nuovi piani energetici russi. Gli investimenti nell’area siberiana, specialmente nell’area occidentale, sono motivo di orgoglio nazionale, al punto che i media nazionali hanno esaltare il processo con titoli come “La crisi energetica è lontana: in Russia c’è un nuovo oceano di petrolio”.

L’area siberiana, quella oltre il 66° parallelo, non è solo ricca di gas e petrolio, ma nasconde altre preziose risorse minerarie. Questa concentrazione di risorse ha spinto la Russia, e non solo, ad investire nel territorio, intensificandone i processi di estrazione e di sfruttamento del suolo. Di fatto, la Nord Stream 2, ovvero il gasdotto Gazprom che approvvigionerà il Vecchio Continente, culminerà questa fase di sviluppo con la sua inaugurazione a fine 2020. Sempre se i nuovi ostacoli posti da Washington, che pensa ad un nuovo round di sanzioni contro Mosca, non tarderanno ulteriormente la realizzazione del gasdotto.

Gli avvenimenti del 29 maggio, nei pressi del distretto di Norilsk, hanno mostrato quanto, in realtà, l’eccessivo sfruttamento dell’area sia rischioso per l’ambiente, e di conseguenza per tutti. Più di 20mila tonnellate di diesel si sono riversate nel fiume Ambarnaya, a pochi chilometri dalla città di Norilsk. Le dinamiche dell’incidente sembrano certe: il gasolio è fuoriuscito da una cisterna appartenente al sito industriale metallurgico di Nadezhdinski, sussidiaria della Nornickel.

La Nornickel è il più grande produttore mondiale di palladio, ma anche uno dei maggiori produttori di nichel, platino e rame. Il colosso energetico ha rilasciato una dichiarazione poco dopo l’incidente, spiegando che il collasso della cisterna è dovuto al progressivo scongelamento del permafrost, uno dei problemi climatici che la regione siberiana si trova ad affrontare. Il gasolio, non appena versatosi nel fiume Ambarnaya, si è rapidamente propagato, disperdendosi per oltre 11 chilometri dal sito dell’incidente.

Data la gravità della situazione e l’ingente danno ambientale, Vladimir Putin non ha esitato a dichiarare lo stato di emergenza, scagliandosi anche duramente contro la compagnia mineraria. A scatenare la furia del Presidente non è stato l’incidente in sé, ma la sua mancata notifica alle autorità competenti, tanto che lo stesso Putin è venuto a conoscenza dei fatti solo due giorni dopo l’incidente, ovvero il 31 maggio.

Il mercoledì successivo, nella teleconferenza nazionale tenuta da Putin, utile sia a dichiarare lo stato di emergenza, sia a confrontarsi con i dirigenti della Nornickel presenti alla chiamata, il Presidente ha espresso tutto il suo dissenso per la mancanza di comunicazione e per il presunto tentativo di insabbiare gli eventi: «Perché le agenzie governative l’hanno scoperto solo dopo due giorni? Ora scopriremo le emergenze dai social media?»

La scure di Putin si è subito scagliata su Vyacheslav Starostin, direttore del sito industriale, il quale sarà tenuto in custodia fino al 31 luglio. Nel frattempo, il Comitato investigativo russo (SK) ha avviato un procedimento penale contro Starostin, con l’accusa di inquinamento ambientale e presunta negligenza, a causa del ritardo nelle comunicazioni. Tuttavia, trovare il responsabile non implica automaticamente risolvere il problema.

Il Cremlino, infatti, è conscio che il risanamento acque non sarà facile né immediato. Benché il versamento sembri essere stato contenuto grazie a delle particolari barre di filtraggio situate nel fiume, si parla comunque di oltre 20 mila tonnellate disperse nel fiume siberiano, ed è accostato ad uno dei più grandi disastri petroliferi della storia, ovvero quello accaduto a Exxon in Alaska nel 1989.

Anche per questo motivo, Vladimir Potanin, proprietario della Nornickel, si impegnerà a finanziare la pulizia del fiume per un valore di almeno 130 milioni di euro, come riportato dal Der Spiegel. Nel suo piano di azione, Norilsk Nickel intende rimuovere il terreno contaminato e inviare contenitori speciali per raccogliere dal fiume la miscela tossica di acqua e carburante, coadiuvato dalle autorità statali. Ciò nonostante, la lontananza del luogo e il suo terreno paludoso costituiscono un grosso ostacolo alle operazioni di risanamento. Nornickel potrebbe infatti aver bisogno di costruire strade speciali per accedere al sito di fuoriuscita.

Nonostante la presa di coscienza e la responsabilità dimostrata da Potanin, la società non è nuova a disastri ambientali. Questa infatti è stata causa di un “fiume di sangue”, nel 2016, in Siberia, provocato dall’emissione/fuoriuscita di una tale quantità di anidride solforosa, una delle principali cause delle piogge acide, da essere circondato da una zona morta di tronchi d’albero e fango grande circa il doppio del Rhode Island.

Altro comune denominatore di questa vicenda è sicuramente la gestione degli incidenti, ambientali e non, in Russia. Come visto a Nyonoksa e Chernobyl, sia nel recente passato che in quello remoto, manca la capacità di comunicazione tra i diversi organi governativi e le autorità del Cremlino. Sia a Chernobyl che a Nyonoksa, la capacità di reazione governativa è stata simile, se non inferiore, a quella dimostrata con la vicenda Nornickel. In quest’ultima, un ritardo di 2 giorni potrebbe costare oltre 10 anni di tempo per attuare il risanamento delle acque.

This handout photo provided by Vasiliy Ryabinin shows oil spill outside Norilsk, 2,900 kilometers (1,800 miles) northeast of Moscow, Russia, Friday, May 29, 2020. Russian authorities have charged Vyacheslav Starostin, the director of an Arctic power plant that leaked 20,000 tons of diesel fuel into the ecologically fragile region on May 29, 2020, with violating environmental regulations. An investigation is ongoing Monday JUne 8, 2020, into the alleged crime, that could bring five years in prison if Starostin is found guilty. (Vasiliy Ryabinin via AP)