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Sarebbero oltre 80 le vittime delle offensive lanciate dall’aviazione russa e dall’esercito siriano nella parte orientale e meridionale della Siria nelle ultime 24 ore. Il 26 novembre nella località di Al-Shafah, situata lungo la sponda orientale del fiume Eufrate nel governatorato orientale di Deir Ezzor al confine con l’Iraq, bombardieri russi hanno colpito postazioni e depositi di armi dei jihadisti dello Stato Islamico che in questa provincia della Siria tiene ancora in pugno diversi territori.

Stando a quanto dichiarato dal ministero della Difesa russo, il raid è stato effettuato da bombardieri Tu-22M3, partiti dalla Russia, e da caccia Su-30SM e Su-35S, decollati dalla base aerea russa di Khmeimim situata nella provincia occidentale siriana di Latakia. Ma tra le vittime, accusa l’Osservatorio siriano per i diritti umani – organizzazione con sede a Londra vicina al fronte dei ribelli siriani – vi sarebbero oltre 50 civili, 20 dei quali bambini. In un altro attacco nel villaggio di Al-Darnaj ci sarebbero state altre quattro vittime.

 

Offensiva siriana nel Ghouta Orientale

Sempre il 26 novembre, almeno altre 20 persone sono state uccise in attacchi aerei e di terra effettuati dall’esercito siriano contro una roccaforte ribelle situata nel Ghouta Orientale (provincia di Damasco), una delle aree di de-escalation individuate da Russia, Siria, Iran e Turchia in cui però, di fatto, non si è mai smesso di combattere. I distretti colpiti sono stati quelli di Misraba, Madeira e Douma. Nella zona, sotto assedio da parte delle truppe di Damasco dal 2012, i morti negli scontri delle ultime due settimane sono stati finora circa 200. Per i circa 400.000 civili intrappolati nella zona le condizioni sono disperate e aumentano le segnalazioni di persone che stanno morendo di fame.

Non ci sono ancora conferme, invece, della notizia data ieri da Hawar News Agency, agenzia curda con sede ad Al-Hasaka nella parte nord-orientale della Siria, secondo cui tre elicotteri russi sarebbero stati abbattuti da ribelli sostenuti dalla Turchia a nord di Aleppo. L’attacco sarebbe avvenuto nel distretto di Afrin, nei pressi del villaggio di Til Nisebin. Sarebbero morti diversi soldati russi, tra cui anche degli ufficiali.

 

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Verso i colloqui di Ginevra

In questo clima di guerra aperta riprenderanno domani, martedì 28 novembre, a Ginevra i colloqui di pace sulla Siria sotto l’egida delle Nazioni Unite. Aspettarsi dei risultati concreti dalla ripresa di queste trattative non è però credibile. Secondo il quotidiano filo-governativo siriano Al Watan, la delegazione del governo di Damasco avrebbe infatti deciso di rinviare la partenza per la Svizzera in risposta alle ultime dichiarazioni delle opposizioni siriane le quali, riunite la scorsa settimana a Riad, hanno affermato che non accetteranno la permanenza al potere del presidente Bashar Assad nella fase di transizione politica.

Dunque, come già accaduto più volte a Ginevra in questi ultimi anni, si torna al punto di partenza. Mentre l’inviato speciale per le Nazioni Unite in Siria Staffan De Mistura tenta inutilmente di far sedere allo stesso tavolo governo e opposizioni siriane, sono altri i luoghi (Sochi) e altri gli attori politici che, sotto la regia della Russia di Vladimir Putin, stanno decidendo il futuro della Siria. Non solo Bashar Assad e i presidenti di Turchia e Iran, Recep Tayyip Erdogan e Hassan Rouhani, che Putin ha incontrato la scorsa settimana sulle rive del Mar Nero e con i quali ha definito l’intesa sulla creazione di un Congresso dei popoli della Siria che rappresenti tutte le componenti etniche e religiose del Paese affinché insieme trovino una soluzione politica condivisa, ma anche Israele.

 

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L’accordo tra Assad e Israele

Stando a quanto scrive il giornale kuwaitiano Al-Jarida, citato da La Stampa, pressato a Sochi da Putin Assad avrebbe accettato di ridurre la presenza militare di Hezbollah e dell’Iran vicino al confine con Israele. Dietro l’intesa, che prevedrebbe la costituzione di una zona demilitarizzata estesa per 40 chilometri lungo la frontiera sul Golan, ci sarebbe stato un pre-accordo tra il presidente degli Stati Uniti Donald Trump e il capo del Cremlino. L’intesa, potenzialmente, potrebbe rappresentare una svolta nei negoziati. Il premier israeliano Benjamin Netanyahu, ottenendo ciò che chiede da tempo, vale a dire l’allontanamento dei Pasdaran iraniani e delle milizie sciite libanesi di Hezbollah dal Golan, potrebbe infatti essere disposto a non ostacolare la spartizione della Siria in zone di influenza che Russia, Turchia e Iran stanno già mettendo in atto da tempo. È in questo contesto che si decide il destino di questo Paese e la possibile fine del conflitto. E non di certo a Ginevra.