La situazione dei combattimenti in Siria è in continua evoluzione. Tra questa notte e le prime ore della mattina di oggi, giovedì 8 febbraio, oltre 100 tra militari governativi e miliziani alleati dell’esercito di Damasco sono stati uccisi in raid effettuati da cacciabombardieri americani. La notizia è stata confermata dal Comando Centrale degli Stati Uniti, che ha parlato di raid effettuati per respingere un «atto di aggressione» nei confronti di soldati delle milizie arabo-curde SDF (Forze Democratiche Siriane) e di militari della coalizione internazionale stanziati nella regione di Deir Ezzor a est del fiume Eufrate.

 

La dinamica degli scontri

Secondo la versione dei fatti fornita dagli USA, questa notte una colonna formata da blindati pick up armati di lanciarazzi ha attraversato da ovest il fiume Eufrate entrando nella parte est controllata dalle SDF. I filogovernativi hanno lanciato l’offensiva colpendo fino a «8 chilometri a est rispetto alla linea che demarca l’area di de-escalation concordata» dalla coalizione internazionale e le SDF da una parte e Russia, Iran e Siria dall’altra. In base all’accordo, i governativi, così come i caccia russi e siriani, non possono operare a est dell’Eufrate. Stesso limite è stato imposto a ovest rispetto al fiume per l’aviazione USA e per le milizie arabo-curde. Tra i governativi i morti sarebbero oltre 100, mentre non vi sarebbero perdite tra le SDF e i contingenti americani.

 

I giacimenti nel mirino

Secondo l’Osservatorio siriano per i diritti umani, ong con base a Londra notoriamente vicina al fronte dei ribelli siriani, i decessi accertati in realtà non sarebbero più di 20. Sempre secondo la ong, i primi scontri si sono registrati a Khasham, città situata lungo il fiume Eufrate a sud-est alla città di Deir Ezzor, capoluogo dell’omonimo governatorato. È un’area strategica, considerato che qui si trovano i giacimenti petroliferi più ricchi della Siria (produzione potenziale di 300.000 barili al giorno), finiti nelle mani dello Stato Islamico tra il 2014 e il 2017.

 

 

I precedenti

 Non è la prima volta che contingenti governativi siriani e milizie delle SDF si scontrano nella regione di Deir Ezzor da quando la regione è stata formalmente liberata da ISIS nel novembre 2017. La situazione sul terreno non è affatto semplice come vorrebbe dimostrare la linea di demarcazione tra le «aree di competenza» tracciata da Stati Uniti e Russia. Sulla carta le SDF sono stanziate a est dell’Eufrate mentre il fronte pro-Assad si trova a ovest e nei pressi della città di Deir Ezzor. Di fatto, però, i due schieramenti controllano aree lungo entrambe le sponde dell’Eufrate, motivo per cui spesso finiscono con lo scontrarsi. A ciò va aggiunta la minaccia sempre viva dello Stato Islamico. Al netto dei proclami di vittoria pronunciati da americani, russi e siriani, ISIS continua infatti a essere presente nell’area e in più occasioni, negli ultimi mesi, non ha perso l’occasione per tornare a colpire potendo ancora far leva sugli ultimi collegamenti rimasti con le zone controllate dal Califfato nella parte occidentale dell’Iraq.

 

L’intesa saltata tra USA e Russia

 Ciò dimostra che l’intesa raggiunta a Deir Ezzor tra Washington e Mosca di fatto è un falso compromesso. Gli Stati Uniti, come detto, non intendono abbandonare l’area, e a dimostrarlo ci sono le migliaia di suoi militari (fino a 30mila secondo stime del Cremlino probabilmente però eccessive) schierati in tutta la parte orientale della Siria a sostegno delle SDF. È una scelta che irrita non solo Damasco ma, come noto, anche la Turchia che da settimane sta rispondendo all’appoggio fornito dagli USA alle SDF (la cui componente maggioritaria, l’YPG, è considerata da Ankara una formazione terroristica al pari del PKK) con un’escalation di attacchi contro la roccaforte curda di Afrin nell’ambito dell’operazione “Ramo d’ulivo”. L’operazione, lanciata a fine gennaio, ha l’obiettivo di porre fine al progetto della Rojava, ossia lo stato indipendente del Kurdistan siriano che, secondo Ankara, rappresenta una minaccia diretta contro la Turchia.

 

La complessa situazione del conflitto siriano è stata ben inquadrata dal ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov. Intervenuto ieri, mercoledì 7 febbraio, in una conferenza a Sochi Lavrov ha avvertito sui «nuovi obiettivi» che gli USA starebbero perseguendo in questa fase della guerra. «È molto probabile – ha affermato – che gli americani abbiano intrapreso un processo di divisione del Paese. Hanno modificato quello che era l’unico obiettivo della loro presenza in Siria, vale a dire sconfiggere lo Stato Islamico e i terroristi. Ora stanno dicendo che manterranno la loro presenza fino a quando non si assicureranno che inizi un processo stabile per arrivare a un accordo politico in Siria», il che secondo gli USA «dovrebbe portare a un cambio di regime». Se le condizioni sono queste, per Washington si prevede un lungo e accidentato impegno militare in Siria.