Mentre l’intelligence americana ha appena rivelato tramite il Wall Street Journal i dettagli della caccia estiva all’imprendibile sottomarino russo Krasnodar che si nascondeva nel Mediterraneo (e attraverso cui Mosca bombardava le postazioni dello Stato Islamico in Siria), il Cremlino ha affidato a un suo portavoce opinioni velenose sull’ultima conquista americana nel paese, Raqqa.
«Raqqa ha ereditato il destino di Dresda nel 1945, spazzata via dalla faccia della terra dai bombardamenti anglo-americani» ha affermato sprezzante il generale Igor Konashenkov. Il che, detto da chi ha fatto di Aleppo un cimitero a cielo aperto, è quantomeno curioso. Tuttavia, questo scambio di battute ben descrive l’attuale stato delle relazioni russo-americane. Che, quantomeno sul Medio Oriente, restano molto tese.
Il tutto appare ragionevole, se consideriamo l’obiettivo di entrambe le potenze di influenzare il futuro geopolitico della regione a scapito l’una dell’altra. E considerato anche il ruolo nella regione del terzo incomodo, l’Iran, quell’alleato russo che Washington vorrebbe depotenziato in ragione della linea intransigente dell’Amministrazione Trump nei suoi confronti.
Il Segretario di Stato nel Golfo Persico
In questo senso, oggi 23 ottobre il Segretario di Stato americano Rex Tillerson ha dichiarato che le milizie sciite irachene sostenute dall’Iran dovranno essere subito smantellate e che tutti i combattenti stranieri giunti per sconfiggere lo Stato Islamico non hanno più ragione di permanere nel paese.
Il riferimento è diretto soprattutto alle Unità di Mobilitazione Popolare, che hanno partecipato alle operazioni per riprendere Mosul ma anche Kirkuk e i territori curdi, dopo la dichiarazione d’indipendenza di questi ultimi da Baghdad. Tillerson ha aperto all’ipotesi di far confluire nell’esercito regolare gli iracheni che ne fanno parte, ma tutti gli altri dovranno inderogabilmente lasciare il paese.
L’annuncio è avvenuto a margine del colloquio saudita-iracheno per la ricostruzione dell’Iraq. Riad, infatti, arcinemico dell’Iran, ha intenzione di stringere accordi con Baghdad per aiutare la ricostruzione del paese, garantendolo anche dal punto di vista della sicurezza. Ma l’obiettivo finale è ovviamente ridurre l’influenza di Teheran sull’Iraq.
Anche per questo motivo, dopo l’ambasciata saudita il Segretario di Stato è volato a Doha, in Qatar, ossia il paese isolato da cinque mesi a questa parte e sanzionato dagli altri partner sunniti della regione (Riad in primis), in seguito alle accuse di connivenza con gli Ayatollah iraniani.
Su questo punto, Tillerson ha solo potuto registrare la distanza tra Doha e Riad, che resta la medesima dello scorso giugno, quando cioè l’Arabia Saudita insieme a Egitto, Bahrein ed Emirati Arabi, lanciarono un ultimatum al Qatar che è costato a quest’ultimo l’emarginazione nel golfo. Ma, intanto, la diplomazia USA lavora sotto traccia.
Il futuro della regione
Così, mentre si stringe la morsa intorno alle ultime roccaforti dello Stato Islamico – che simbolicamente resiste nelle province di Deir Ezzor e Al Anbar proprio a cavallo tra Siria e Iraq, stretto dalle forze arabo-curde sostenute da Washington e dai governativi di Damasco e Baghdad incoraggiati da Iran e Russia – si prepara un difficile dopoguerra.
Le forze che contendono porzioni di territorio di questi stati falliti stanno oggi posizionando le proprie armate, per consolidare posizioni in vista di un possibile accordo politico tra Russia e l’alleanza occidentale a guida USA. Su questo lavora ad esempio la Turchia, che conta di stabilire un’area cuscinetto in Siria tra il proprio confine e la provincia di Idlib che lambisce Aleppo, mentre in Iraq si è spinta nella provincia di Ninive, dove si trova Mosul.
Per parte loro, i curdi siriani e iracheni vogliono mantenere ciascuno i territori che hanno strappato al Califfato durante la guerra civile, e tentare la carta dell’indipendenza con il placet americano. L’Iran, invece, vorrebbe vedere Damasco e Baghdad riprendere il controllo dei territori perduti e consolidare la propria influenza nell’area con l’aiuto di Mosca.
In conclusione, sei anni dopo l’inizio della guerra civile le frontiere artificiali create all’inizio del ventesimo secolo in Siria e Iraq sono definitivamente saltate e questi due paesi falliti si avviano a una partizione già in corso, il cui esito incruento dipenderà solo da un accordo al vertice tra Washington e Mosca, che sono tornati protagonisti del grande gioco per il potere in Medio Oriente.
Luciano Tirinnanzi
Direttore di Babilon, giornalista professionista, classe 1979. Collabora con Panorama, è autore di numerosi saggi, esperto di Relazioni Internazionali e terrorismo.
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