Raqqa è stata liberata dalla presenza dello Stato Islamico, grazie alle forze arabo-curde e all’appoggio degli Stati Uniti. Ma la guerra non finisce certo con la caduta della capitale del Califfato. Per tre semplici ragioni: primo, il vuoto di potere creerà nuove rivendicazioni nell’est del paese; secondo, lo Stato Islamico non ha mai rappresentato la sola minaccia alla sovranità della Siria; terzo, il Califfo Al Baghdadi ancora non si trova.

Per quanto concerne i jihadisti, con la sconfitta di Raqqa lo Stato Islamico passa definitivamente da uno stato di guerra a una fase di guerriglia. Fatto che non diminuisce la minaccia mortale del jihad globale, e che ha come prima conseguenza sul campo il riposizionamento delle forze che partecipano alla guerra. Così come la capitolazione del Califfato impone di comporre un nuovo assetto geopolitico regionale, in quelle aree falcidiate dalla guerra che un tempo chiamavamo Siria e Iraq. Con la diplomazia grande assente in questa delicata fase.

La capitolazione del Califfato impone di comporre un nuovo assetto geopolitico regionale in quelle aree falcidiate dalla guerra che un tempo chiamavamo Siria e Iraq

Raqqa è stata occupata dalle milizie del Califfato all’inizio del 2014, dopo che già nel 2013 la presenza di jihadisti all’interno delle mura cittadine era divenuta la normalità e già allora dettavano legge imponendo la Sharia sulla popolazione locale. La città, che prima della guerra contava qualcosa come 400mila abitanti o poco meno, è stata la prima a cadere interamente in mano ai ribelli durante la guerra civile contro Assad, grazie alla forte presenza dei clan sunniti che, pur costituendo la maggioranza della popolazione in Siria, erano stati politicamente marginalizzati dal governo centrale.

Il regime di Damasco, composto per la stragrande maggioranza da elementi sciiti-alawiti, ha condannato il paese alla guerra civile quando ha represso nel sangue le proteste di piazza che erano seguite alle primavere arabe del 2011. Da allora, il conflitto fratricida si è trasformato ben presto in una guerra internazionale, trasformatasi anno dopo anno sempre più in una guerra per procura da manuale.

SIRIA MAPPA OLTREFRONTIERA

Protagoniste di opposti schieramenti in Siria sono Arabia Saudita e Iran, campioni del sunnismo l’una e dello sciismo l’altra, i cui interessi nell’area spingono entrambe a continuare a finanziare e sostenere milizie qui, come in Iraq e nello Yemen. Ci sono inoltre potenze regionali trasversali come la Turchia, che gioca una partita a sé in ragione di una volontà espansionistica neo ottomana che però ha trovato la forte opposizione dei curdi. E, soprattutto, ci sono la Russia – che sostenendo il regime di Bashar Al Assad in Siria, ha permesso a Damasco e alla costa siriana di essere risparmiate dalla guerra – e gli Stati Uniti, la cui politica ondivaga ha creato non poca confusione sopra il Medio Oriente.

Quale di queste potenze sarà adesso così lungimirante da scendere a patti con gli altri protagonisti regionali? Chi cederà per primo una porzione di territorio in ragione della realpolitik? E chi consentirà alle varie enclave curde di affrancarsi dai vecchi vincoli statuali? La risposta è tutta nell’avanzata turca verso la provincia siriana di Idlib e nella guerra imminente per il possesso del Kurdistan iracheno. Un Medio Oriente senza pace appare ancora agli occhi delle potenze regionali la soluzione da preferire.

Tutto questo non fa altro che alimentare l’odio nei confronti dei vecchi governi come delle nuove forze occupanti. Il che offre ai jihadisti la giustificazione perfetta per continuare a seminare ovunque il terrore. Caduta Raqqa, non finisce la guerra.