Il potere dei talebani in Afghanistan è oggi rafforzato dagli accordi di pace siglati il 29 febbraio 2020 con gli Stati Uniti, e che prevedono il ritiro graduale dei soldati statunitensi; la rimozione delle sanzioni applicate a diversi leader talebani; la scarcerazione di 5 mila membri dell’organizzazione attualmente nelle prigioni afghane.
Come contropartita per il ritiro totale dei militari americani, i talebani devono soltanto impedire agli estremisti di usare il Paese per progettare attacchi contro gli Stati Uniti o i loro alleati. Dunque, piuttosto semplice. Nonostante il loro governo sia stato deposto nel dicembre 2001, anche dopo la morte del Mullah Omar (storico presidente e leader talebano) gli equilibri non sono cambiati. I talebani di fatto governano ancora aree immense, grazie soprattutto ai frutti della coltivazione dell’oppio, rivenduto al mercato nero a un prezzo superiore a quello dell’oro, e da cui si ricava il 90% dell’eroina distribuita nel mondo. I contadini resteranno dalla loro parte, finché c’è lavoro (qualunque tipo di lavoro).
Si stima, inoltre, che la forza operativa talebana oggi sia intorno alle 50 mila unità, mentre il peso dello Stato Islamico è ben più ridotto: anche se sta reclutando nuovi miliziani sia in patria sia all’estero, questi contribuiscono a ingrossare le fila degli appena mille operativi che si registrano al momento sul suolo afghano.
Non va poi dimenticata la presenza stabile della rete Haqqani, un clan tribale vicino ad Al Qeda e agli stessi talebani, nato come clan familistico di tipo mafioso-religioso. Predoni e trafficanti d’oppio, dopo l’intervento NATO in Afghanistan gli Haqqani hanno iniziato a colpire le truppe occidentali dalle loro basi nelle aree tribali pakistane. La loro rete può contare su una struttura militare che, secondo le stime dei servizi segreti occidentali, potrebbe arrivare alle 15 mila unità.
Oggi vengono considerati il gruppo terroristico più pericoloso di tutto lo scacchiere della regione, capace di coordinare operazioni con i talebani stessi, essendo alcuni membri della loro famiglia inseriti in entrambi gli organigrammi. Dunque, lo spazio per l’ISIS qui non esiste.
Tratto dal libro
I semi del male
di Stefano Piazza e Luciano Tirinnanzi
Stefano Piazza
Giornalista, attivo nel settore della sicurezza, collaboratore di Panorama e Libero Quotidiano. Autore di numerosi saggi. Esperto di Medio Oriente e terrorismo. Cura il blog personale Confessioni elvetiche.
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