Avremo un’altra guerra per Gaza? Per ora è stata scongiurata da un cessate il fuoco tra Israele e Hamas, la forza maggioritaria tra i palestinesi della Striscia. Alcuni sottolineano che tra poco in Israele comincia il festival dell’Eurovisione e al governo di Netanyahu non conviene mostrare al mondo le immagini di un Paese in guerra. Altri ancora fanno notare che è iniziato il Ramadan, il mese sacro del digiuno dei musulmani, che sarebbe anche un mese di pace.
Quanto durerà questa tregua? I precedenti non aiutano. Negli ultimi anni, a causa anche dell’estremismo di Hamas e del Jihad islamico, ci sono state tre guerre, nel 2008-2009 e nel 2012 mentre dall’8 luglio e al 26 agosto 2014 l’operazione Margine Protettivo aveva causato secondo le Nazioni Unite 73 morti tra gli israeliani (dei quali 68 erano soldati) e 2.251 tra i palestinesi, dei quali 1.462 erano civili, con 11 mila feriti e 10mila case completamente distrutte.
La Jihad islamica minaccia “una guerra totale”
Ma la novità è che adesso a essere colpiti non sono soltanto i confini di Israele ma anche città più lontane: la guerriglia palestinese ha lanciato centinaia di razzi che potrebbero prendere di mira anche Tel Aviv. Insomma il costo di un conflitto può diventare assai pesante pure per lo stato ebraico. Più di 600 razzi hanno già colpito le comunità intorno al confine con la Striscia, ad Ashkelon e Ashdod. Nei raid aerei israeliani è morto anche un comandante di Hamas, che chiedeva un cessate il fuoco a Israele mentre la Jihad islamica minaccia “una guerra totale”, segnale anche questo di un’ulteriore radicalizzazione tra i gruppi palestinesi.
E quando inizia una guerra è anche difficile ragionare e far ragionare. Ci prova un editoriale di Haaretz, il più prestigioso dei quotidiani israeliani, sottolineando “la disperazione del popolo palestinese, il grido di dolore di una popolazione che non ha lavoro, che non va a scuola”. Ed è proprio su questa disperazione che fanno leva i gruppi più radicali. Mentre Israele continua a preferire l’opzione militare a quella diplomatica e della riabilitazione economica di Gaza.
Entro il 2020 la Striscia sarà invivibile
Gaza rappresenta, con il blocco israeliano, l’assedio più lungo della storia contemporanea. Il segretario generale dell’Onu Antonio Guterres ha definito la Striscia di Gaza “una prigione a cielo aperto”. Qui il tasso di disoccupazione è pari al 47 per cento e raggiunge il 60 per cento tra i giovani: il reddito medio pro capite supera a stento i mille dollari per una popolazione di due milioni, di cui 1,9 milioni è in stato precario o di emergenza. E ora si stanno esaurendo le scorte di medicine e carburante mentre l’acqua è sempre più inquinata. Secondo i rapporti dell’Onu entro il 2020 la Striscia sarà invivibile, una catastrofe umanitaria e ambientale.
In queste condizioni anche la sicurezza israeliana non potrà affidarsi soltanto alla risposta militare. La tanto citata sicurezza dello stato ebraico dipende dalla fine di un assedio economico e finanziario che non ha portato la pace a nessuno: ma questa in Israele, sempre più spostato su posizioni estreme, è una posizione minoritaria. Vincerà così la guerra, quella di oggi e le guerre che ci saranno ancora in futuro, non la pace.
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