Tsai rieletta, Taiwan conferma l'animo democratico

A Taiwan si è appena concluso un intenso sabato elettorale. Dopo quattro anni si sono svolte le elezioni presidenziali e politiche.
Come non tutti sanno, l’isola di Taiwan con ventitré milioni di abitanti e grande, più o meno, come la Lombardia si è evoluta in una delle democrazie più vivaci in Asia, con una preparata stampa indipendente. Non sorprende che nessuno abbia dimenticato in quella parte del mondo che, dopo aver vinto le elezioni e prima del suo insediamento, il presidente Trump abbia avuto una conversazione telefonica con il presidente di Taiwan, Tsai Ing-wen. Questa telefonata è stata seguita dall’approvazione di vendite pari a 1,4 miliardi di dollari in armi a Taiwan da parte dell’amministrazione americana. Ebbene, dai primi risultati dello scrutinio è ormai certezza che la Presidente Tsai sia stata rieletta. In un incontro a margine di una conferenza internazionale mi aveva detto che, utilizzando tutta la sua maestria, se ci fossimo rivisti nel 2020 lei sarebbe stata sicuramente più serena della scorsa fine di agosto. Pare proprio che ce l’abbia fatta e che sia stata rieletta Presidente dal suo popolo.

I tre partiti che costituiscono l’universo politico di Taiwan sono il suo DPP, GDM e PFP. Alle elezioni amministrative del 2018 il DPP aveva visto una sconfitta dal GMD. La sconfitta era stata così bruciante (48,7% dei voti andarono al GMD contro il 39,2% detenuti dal DPP) che fecero decidere alla Presidente Tsai a dimettersi dalla leadership del suo partito, cedendo la carica prima al suo vice Li Yu-chang, e poi a Cho Jung-tai che lo guida da ormai da più di un anno.

Sicuramente è da sottolineare la vicinanza del Presidente americano Trump alla Presidente Tsai e alla sua condotta delle relazioni con la Cina Popolare. In questo contesto, si può inserire la richiesta, presentata dal Dipartimento di Stato, di vedere tornare a Taiwan i Marines per la prima volta dal 1979 con lo scopo dichiarato di dare protezione alla nuova ambasciata negli Stati Uniti. La missione diplomatica inaugurata a Taipei è uno dei più grandi siti di questo genere ed è composto di circa 500 persone. In poche parole, si può dire che oggi sia sempre più evidente una nuova iniziativa presa all’interno del governo e del Congresso degli Stati Uniti volta a prestare maggiore attenzione alla difesa di Taiwan. Per diversi decenni, Washington ha seguito una politica che ha evitato di irritare la Cina quando si parlava di Taiwan, ma in questo periodo il governo taiwanese è palesemente sotto forte pressione da Pechino.

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Il governo cinese di Xi ha ridotto i viaggi turistici e alcuni scambi commerciali attraverso lo Stretto di Taiwan e ha condotto campagne di notizie false (fake news) volte a screditare il governo di Taiwan attraverso l’utilizzo dei social media. Taiwan ha risposto cercando di diversificare il commercio nel Sud-est asiatico e aumentando leggermente la spesa per la difesa. Queste due azioni sono dovute al fatto che nella realtà, rispetto al passato, Taiwan ha meno strumenti per contrastare sia militarmente sia economicamente Pechino anche se, negli ultimi anni, le relazioni commerciali con la Cina popolare sono state potenziate. Tutti ricordano che trent’anni fa Taiwan faceva parte delle “Tigri economiche asiatiche” e la sua economia quasi eguagliava le dimensioni della Cina continentale che ora, tuttavia, ha preso slancio a livello regionale.

Oggi, nonostante la politica di diversificazione degli scambi in atto, il 40% delle esportazioni di Taiwan è in Cina o ad Hong Kong e oltre un milione di lavoratori taiwanesi prestano la loro opera in Cina Popolare. Taiwan rimane il quinto paese al mondo per riserve di oro e valuta straniera ma ha un bassissimo tasso di natalità (prossimo a quello italiano) che potrebbe comprometterne il futuro. Nonostante una disoccupazione a livelli minimi e la raggiunta parità d’impiego tra uomini e donne, i salari sull’isola rimasti in gran parte invariati e tale situazione ha generato una costante fuga di cervelli verso la terraferma. Questa fuga è astutamente incoraggiata da Pechino con importanti incentivi salariali a chi accetta di trasferirsi oltre lo stretto.

Per quanto riguarda gli sforzi di Pechino nel campo diplomatico, essi consistono ora principalmente nel ridurre il numero di Paesi che riconoscono Taiwan come la Repubblica di Cina. Gli ultimi a interrompere le relazioni diplomatiche con Taiwan sono stati il ​​Burkina Faso e la Repubblica Dominicana, che a maggio hanno deciso di abbandonare Taipei in cambio d’importanti aiuti economici cinesi. Tale azione non ha soluzione di continuità e gli ultimi ad abbandonare Taipei sotto la pressione di Pechino sono stati Kiribati e le Isole Salomone. Il governo di Pechino si è anche attivato contro società straniere, come le compagnie di abbigliamento, le compagnie aeree e le catene alberghiere, che non fanno riferimento a Taiwan come territorio della Repubblica Popolare cinese. Molte compagnie aeree hanno iniziato a includere sui loro siti web tutte le destinazioni all’interno dell’isola di Taiwan come località della Repubblica Popolare cinese.

Da ricordare che i giorni che hanno preceduto le elezioni sono stati funestatiti dall’incidente che ha coinvolto un elicottero militare. Tra le otto vittime anche il Capo dello Stato Maggiore taiwanese , il generale Shen Yi-ming. Secondo i media locali, delle 13 persone a bordo dell’UH-60M Black Hawk solo cinque si sono salvate.

Ciò nonostante il governo taiwanese, a maggior ragione oggi dopo la rielezione del Presidente Tsai, molto probabilmente continuerà sulla linea di affermazione della dignità nazionale di Taiwan a livello globale e sarà determinato a non piegarsi alle pressioni cinesi e a mantenere lo status quo. Di conseguenza, è chiaro che gli Stati Uniti, quale principale sostenitore di Taipei, potranno mantenere una considerevole capacità operativa e un numero cospicuo di forze, in ciò che la Strategia di sicurezza nazionale USA 2017 aveva indicato “Indo-Pacifico”.

Tornando alla Tasi e a queste ore con il profumo della vittoria che appare di minuto in minuto più importante si può solo dire che la sua futura serenità sarà nella possibilità di continuare nella guida del suo paese e non nel riposo dopo la successione. Lascio agli analisti dell’area decidere se sarà vittoria totale e assoluta anche nel voto politico, ma sicuramente mi spingo a dire che oggi meno che mai ci sono spazi per un compromesso tra Taipei e Pechino e che nella stanza ovale ci sia anche un Presidente felice di come sono andate le cose. Dopo Hong Kong questo è il seconda squillo di tromba che mette sotto pressione il gigante comunista asiatico.

In this Jan. 8, 2020, photo, Tsai Ing-wen, Taiwan’s President and the 2020 presidential election candidate for the Democratic Progressive Party (DPP), chants slogans during an election campaign rally in northern Taiwan’s Hsinchu province. A year ago, the Taiwan leader was on the ropes. Now President Tsai appears poised to win a second four-year term in elections this Saturday. (AP Photo/Ng Han Guan)