Dalla pandemia alla guerra in Ucraina. Con questi avvenimenti negli ultimi due anni l’assetto delle democrazie occidentali e il rapporto tra governanti e governati è stato contraddistinto da continui stati d’emergenza, percepiti e vissuti realmente. Proprio su aspetti come questi si sono concentrati i diversi autori che hanno contribuito alla stesura del volume Democrazia in emergenza edito da Paesi Edizioni. Sulla scia di quanto scritto nel capitolo «La democrazia messa a nudo dalla pandemia», l’autore Danilo Breschi, professore associato di Storia delle dottrine politiche all’Università degli Studi Internazionali di Roma – Unint, spiega a Babilon Magazine come si presenta il nesso sicurezza-libertà di fronte alla guerra in corso in Ucraina.
In questo libro lei sottolinea come i sistemi democratici siano stati messi a nudo dalla pandemia. Dal binomio «sicurezza e libertà» siamo passati alla dicotomia «sicurezza o libertà» e in casi come questi gli Stati propendono per la sicurezza. A suo avviso come si è ulteriormente evoluto questo processo con lo scoppio del conflitto in Ucraina?
Il binomio «sicurezza e libertà» è il fattore costituente quell’aggregato politico solido e duraturo che ha contraddistinto la storia mondiale e che si chiama Stato. Anche oggi il sistema delle relazioni internazionali è assicurato dalla presenza di Stati. L’Onu è l’organizzazione delle nazioni con forma di Stato, che dovrebbero unirsi e collaborare nel rispetto reciproco della loro autonomia. Quando l’esistenza di una di esse viene minacciata ecco la guerra, appunto. Hobbes ha compreso prima di tutti il motivo di fondo per cui lo Stato era la «machina machinarum», ossia quel presupposto materiale che consente convivenze stabili tra molti e diversi: senza sicurezza per il maggior numero non vi è alcuna libertà effettiva. Sono i più e dunque gli inermi, i deboli, i non adusi a recare offesa, tanto meno a portare armi, addirittura a farne un mestiere, che invocano una struttura che incanali il potere, monopolizzi la violenza, assicuri l’allontanamento della violenza, anche della minaccia del suo uso arbitrario e incontrollato. Deve diventare evenienza remota, da casi estremi, eccezionali. Col tempo, poi, quello stesso maggior numero ha preteso – su spinta di minoranze nutrite di filosofie e ideali repubblicani e/o democratici – che quel monopolio dell’uso della forza fosse legittimato dal basso, ossia da quello stesso maggior numero. Quasi un cliente che si sceglie la sua guida protettiva, il governo appunto. Quest’ultimo regge finché soddisfa alle richieste del cliente, la prima delle quali è appunto far sì che ne cives ad arma veniant. Un garante della convivenza civile, in cui le controversie e dispute che inevitabilmente sorgono tra diversi possano essere quasi sempre risolte in modo pacifico. Di qui il ruolo giocato dal diritto. Pertanto, niente di nuovo sotto il sole. Solo, appunto, messo a nudo. Da pandemia e guerra.
L’Unione Europea è stata sempre presentata prima di tutto come spazio di libertà: di circolazione di merci, persone, servizi e capitali. Eppure in tempi non sospetti, ovvero dal ritiro degli Stati Uniti dall’Afghanistan, il dibattito sulla struttura securitaria dell’Ue, con la proposta tornata in auge della creazione di un esercito europeo, si è alimentato. Con la guerra in Ucraina il nostro Paese ha deciso di destinare il 2% del Pil per le spese militari, senza considerare lo storico riarmo tedesco. Dopo anni di sicurezza sub-appaltata agli Stati Uniti, in Europa sta cambiando la mentalità su questo fronte?
Difficile rispondere quando ancora la guerra è in corso, ossia è pienamente attivo il fattore scatenante questa storica decisione sia italiana sia tedesca, più in generale europea. Intanto, se si va ben a vedere, non tutti e 27 i Paesi dell’Unione sono concordi sul punto. Poi saranno da valutare tempi e modi della fine di questa guerra scatenata dall’invasione russa in territorio ucraino. Da come e quando ne usciremo dipenderà molto del futuro assetto strategico europeo, che senz’alto non potrà restare fermo e immobile com’è accaduto finché all’orizzonte non è riapparso lo spettro della guerra che ne infiamma i confini.
C’era ancora una politica estera americana con interessi verso l’Europa, soprattutto orientale, ai tempi della guerra del Kosovo, tra 1998 e 1999. Questo fu il primo conflitto armato tra Stati nel cuore dell’Europa dal 1945, peraltro il tragico colpo di coda di quelle guerre jugoslave, o balcaniche, che erano già iniziate nel 1991, protraendosi per un decennio e dilaniando l’intera area. Oggi non è chiaro quanto l’Europa rientri negli interessi strategici degli Usa. Ecco la novità.
Cosa dobbiamo aspettarci, dunque, dal Vecchio continente?
L’onestà intellettuale mi obbliga a sospendere il giudizio. Occorre ancora del tempo per formulare una risposta sufficientemente plausibile. Infatti solo un tempo prolungato può mutare mentalità consolidatesi in tempi altrettanto lunghi. In materia di difesa militare per gli europei occidentali trattasi di circa ottant’anni di sostanziale rimozione del problema. Fuoriusciti parzialmente dalla storia, espellendone il lato drammatico, sono adesso costretti a rientrarvi in pieno. Che questo fine inverno del 2022 abbia segnato una svolta storica è indubbio.
Per approfondire
Democrazia in emergenza
A cura di Ciro Sbailò
Emilio Pietro De Feo
Laureato in Scienze politiche e relazioni internazionali presso l’Università degli Studi di Salerno, sta conseguendo una seconda laurea in Investigazione, criminalità e sicurezza internazionale presso l’Università Internazionale degli Studi di Roma, UNINT. Pubblicista, collabora con Oltre la linea e il Centro Studi Machiavelli.
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