Pillole di geopolitica
A Roma il 3 marzo all’Università degli studi internazionali Unint la conferenza “La crisi in cinque punti”: la rinnovata unità europea, l’allontanamento della Russia dal Vecchio continente, il quinto dominio della guerra

di EMILIO PIETRO DE FEO

La rinnovata unità europea e l’allontanamento della Russia dal Vecchio continente, il quinto dominio della guerra e i nuovi equilibri internazionali. Di tutti questi punti si è discusso durante la conferenza “La crisi in cinque punti” organizzata dall’Università degli studi internazionali Unint di Roma lo scorso 3 marzo. In apertura il preside della facoltà di Scienze politiche Ciro Sbailò ha precisato che il conflitto in Ucraina potrebbe portare a una riaffermazione della guerra in senso clausewitziano, dunque come continuazione della politica con altri mezzi. «Filosoficamente parlando vince Hegel, perde Kant – ha esordito Sbailò – Oggi assistiamo a una fase recessiva per quanto concerne il tasso di democraticità globale. Il fallimento della dottrina del “Grande Medio Oriente” aveva anticipato l’impossibilità di quella strategia volta a estendere la democrazia nel mondo. Utilizzata con il comunismo, tale strategia funzionò in quanto fu applicata comunque in un panorama culturale europeo. Questo fallimento dovrebbe far riflettere sull’uso di certe categorie analitiche. Sicuramente non abbiamo superato la categoria della forza e della guerra. Tanto vale ritornare alla dimensione vestfaliana. La difesa europea da molti è giudicata un’utopia, perché la sovranità difficilmente può essere condivisa, ma, attraverso una prospettiva indirizzata a creare sistemi di cooperazione o accordi bilaterali, ad esempio il trattato di Aquisgrana o del Quirinale, è possibile giungere all’unione militare».

A questa premessa ha fatto seguito l’intervento del generale Claudio Graziano, membro del Comitato militare dell’Ue. «In quasi 50 anni di carriera non avevo mai visto una minaccia così vicina – ha affermato Graziano – L’intelligence americana negli ultimi mesi aveva dato delle indicazioni, ma nessuno credeva potesse manifestarsi un’invasione ingiustificata di un Paese sovrano da parte di un altro Stato. Gli Stati occidentali si sono trovati, causa la crisi pandemica negli ultimi due anni, in stato di debolezza. L’attacco alla Russia è stato come un risveglio dalla belle époque. Noi eravamo abituati a guardare le minacce che venivano da Sud piuttosto che da Est. La Russia potrebbe instaurare un nuovo sistema delle relazioni internazionali mediante un sistema di alleanze. Più la resistenza dell’esercito ucraino cresce più aumentano le difficoltà per la Russia, che mirava a un’invasione rapida senza troppe violenze cresce. C’è una forte volontà del Paese a resistere. La strada maestra è quella di trovare un negoziato e risolvere una crisi che potrebbe avere effetti tragici. Il regime delle sanzioni tende proprio a spingere la Russia verso il negoziato. In qualche modo le lancette della storia sono state portate indietro di 70 anni. Ciò ha comunque ricompattato l’Alleanza atlantica nonché consentirà lo sviluppo di un’altra Unione Europea della difesa, in grado di parlare con una sola voce».

Successivamente è seguito l’intervento dell’esperta in cybersecurity Anita Sciacovelli che ha risposto a una domanda di Roberto Menotti, membro dell’Aspen Institute, chiarendo quanto di ciò verificatosi finora nel conflitto russo-ucraino sia assimilabile alla categoria del cyber warfare: «Le problematiche della cybersecurity esistono più in tempo di pace che di guerra. Nel quinto dominio della guerra c’è un’assenza di framework giuridico adeguato. Russia e  Ucraina prima dell’inizio dell’ostilità mediante operazioni cinetiche hanno attaccato i siti istituzionali. Operazioni ramsomware si sono verificate negli anni precedenti. La Federazione Russa operò già nel 2007 contro l’Estonia, quando portò a un blocco totale dei sistemi finanziari in rete. La Nato suggerì che ciò poteva essere paragonato a un attacco armato, attivando di fatti l’articolo 5 dell’Alleanza. Bisogna capire che tipo di strumentazione giuridica va messa in atto. Bisogna chiedersi se si può realizzare un attacco cibernetico tale da causare danni fisici. L’Onu da tempo sta elaborando un codice di condotta del cyber warfare, il quale prevede un controllo da parte degli Stati. Lo stesso Biden ha proposto una convenzione di GInevra in ambito cyber. Non è scontato dare un’attribuzione a un altro Stato di aver compiuto un attacco».

Anche la minaccia atomica sembra essersi nuovamente materializzata dall’inizio del conflitto. Stefano Orazio Panato, già vicedirettore del Sismi, ha chiarito questo aspetto: «C’è stato un segnale molto forte nei giorni scorsi. La questione nucleare tocca ognuno di noi. Bisogna distinguere armamenti nucleari strategici e tattici. I primi includono le armi “apocalittiche”, che fanno parte dell’equilibrio del terrore e secondo alcuni hanno garantito la pace. Queste armi sono sempre ad altissima prontezza. Gli armamenti tattici hanno valenza politica, servono da collegamento tra armi strategiche e convenzionali. La Russia vede gli armamenti nucleari tattici come strumenti per fare la guerra. Fino agli anni ‘80 c’erano anche i missili teatro, smantellati a seguito di negoziati che hanno portato all’80% della riduzione degli armamenti strategici. Il principio base per gli armamenti nucleari è quello della doppia chiave: qualsiasi errore umano a livello individuale deve vedere due interventi simultanei e indipendenti. Da un certo punto di vista non c’è bisogno di preoccuparsi, in quanto l’architettura tra le superpotenze si regge sul Mad (Mutual assured distruction) che porterebbe per entrambi gli sfidanti a una situazione lose-lose. La storia del nucleare è molto travagliata. Nasce con la dottrina del contenimento. Fino al 1952 gli Usa avevano il monopolio dell’arma nucleare. La risposta massiccia allora era la dottrina predominante. Con la fine del monopolio si passò negli anni ‘60 alla dottrina della risposta flessibile. Negli anni ‘70 i missili di teatro dell’Urss minacciavano l’Europa, portando così allo schieramento da parte americana degli euromissili. L’armamento nucleare è sempre stato visto come uno strumento politico. In questo campo la sicurezza è seguita in maniera ossessiva. In conclusione si può dire che vi è simmetria tra le superpotenze sull’aspetto strategico, asimmetria su quello tattico».

«Lo strumento tattico si esprime in piccole bombe atomiche utilizzate sul campo di battaglia – ha affermato Alfredo Mantici, già capo del dipartimento analisi del Sismi, collegandosi all’intervento di Panato – Io per abitudine sono un weberiano, inteso nel senso che lo storico deve rimanere sempre avalutativo. L’ingresso dell’Ucraina nella Nato porterebbe gli strumenti nucleari tattici a 300 km da Mosca. Evito di fare ciò che il mainstream sta facendo, ovvero di presentare Vladimir Putin come un buffone o un pazzo. Questo è un errore di approccio pericoloso. Pensare che in otto giorni chiunque possa conquistare un territorio come la Francia fa perdere di vista due elementi importanti: ciò che sta succedendo e soprattutto ciò che non sta succedendo. Inoltre quello che sta mancando nell’analisi di ciò che succede è la contestualizzazione. Invece che partire dal 24 febbraio, dovremmo partire da ciò che è successo dal 2014. L’intelligence americana ha preveduto un po’ come l’orologio rotto può prevedere l’ora esatta due volte al giorno. Sono gli stessi che hanno detto che l’esercito afghano avrebbe resistito fino al 2024. Biden si è spinto a dire cose molto gravi già da gennaio, con un escalation verbale. Nel 2007 dopo lo spostamento di una statua a Tallinn di un milite ignote russo, la Russia per 24 ore ha annichilito l’Estonia con un attacco cyber. Ciò non è stato fatto in Ucraina. Non si è interrotta finora la rete ferroviaria, informatica del Paese. Ci dimentichiamo inoltre anche del bombardamento Nato del 1999, che ha cambiato le frontiere europee. Non c’è stata finora cyberwar vera e propria. Non sono stati cancellati dai russi i sistemi di comando e controllo dell’Ucraina. Ai russi insegnano fin dall’elementare gli scacchi, dove l’obiettivo si raggiunge con una complessa serie di ragionamenti. Io sono convinto che ciò a cui stiamo assistendo non è una guerra lampo ma una partita di scacchi che i russi stanno giocando con il freno a mano tirato. Per quanto riguarda la risposta europea, quanto fatto finora ci porterà a ridiventare un player continentale autorevole. La Russia si spingerà verso Cina e India che sostituiranno l’Europa in termini di forniture e consumi nei confronti di Mosca. Alla fine dei conti cancelleremo l’ambizione della Russia di esaltare la loro parte europea. Ciò altererà gli equilibri a livello internazionale».

Ha infine concluso l’incontro, ribadendo il rinnovamento della coesione europea, l’intervento di Benedetto della Vedova, sottosegretario agli Affari esteri. «È tornata una guerra d’occupazione in Europa, la quale ha applicato le sanzioni senza patire quelle divisioni sulle quali Putin contava. C’è stata una reazione di un’Europa unita dal Portogallo ai Baltici. Questo anche grazie a una serie di lesson learned: abbiamo imparato a Kabul che non sono gli Stati Uniti a decidere per tutti, perché, anche in buona fede fanno degli errori. Abbiamo imparato che la difesa dei nostri valori passa dal trasferimento di sovranità. Per la prima volta i leader europei tutti hanno trasferito lo stesso messaggio a Putin. Da qui in poi bisogna fare un salto di qualità istituzionale. La nostra sicurezza non può più essere subappaltata. Con l’attuale  amministrazione americana possiamo di nuovo avere un dialogo positivo tra blocchi – europeo ed americano – che si rispettano».