«Buongiorno da Manbij. Ieri c’erano loro, oggi ci siamo noi». La frase pronunciata dal contractor russo Oleg Blokhin in un video postato su Twitter sarebbe sufficiente a capire cosa sta accadendo in Medio Oriente dopo il ritiro delle truppe americane dal Nord-est della Siria. La dichiarazione, ripresa dal Financial Times, fa riferimento alla sostituzione delle truppe russe a quelle statunitensi nella base militare di Manbij, in Siria. Le truppe siriane, alleate di Mosca sono entrate a Manbij dove prima c’reano i combattenti curdi, costretti a un’intesa con Assad dopo il tradimento Usa. Il cambio di guardia, confermato dal Ministro della Difesa russo, è determinante per comprendere gli equilibri di potere in Medio Oriente. Un’area in cui la Russia ha guadagnato terreno a partire dal 2015 intervenendo nella guerra civile in Siria a fianco del regime di Assad, appoggiato anche dall’Iran.
Il presidente Vladimir Putin sfrutta il posto vuoto lasciato dagli americani in Siria per proteggere e accrescere l’influenza del Cremlino nella regione. Il pragmatismo di Putin e la rete di rapporti costruiti nel tempo cozzano con l’incoerenza mostrata dagli Stati Uniti, il cui crescente disimpegno in Medio Oriente gioca a favore dei piani di Mosca. Nel caos lasciato da Trump, Putin si muove con destrezza e tesse la sua tela tra partner che non possono essere certo definiti degli amici. La Russia appare ai Paesi del Golfo un attore molto più affidabile degli Stati Uniti, a Putin la Turchia guarda per proteggere i propri interessi in Siria. Il presidente russo vedrà infatti il presidente turco Erdoğan il 22 ottobre per discutere della situazione nel Paese, quando sarà scaduto il termine della fragilissima tregua prevista dall’accordo stretto ieri 17 ottobre tra Washington e Ankara. Putin ha mediato tra Ankara e Damasco nei giorni dell’offensiva militare turca nel Nord-est della Siria allo scopo di scongiurare uno scontro tra l’esercito siriano e quello turco e il suo ruolo nel futuro assetto della Siria sarà decisivo.
Il viaggio di Putin nei Paesi del Golfo
Mentre andava in scena il ritiro Usa in Siria, Putin ha incassato un’altra vittoria diplomatica incontrando il principe erede al trono e di fatto leader dell’Arabia Saudita Mohammed bin Salman (MbS). Putin corteggia così il giovane MbS, senza dimenticare l’Iran, e si pone al centro dello scontro tra sunniti e sciiti. In Siria l’Arabia Saudita è schierata dalla parte dei ribelli e Riad è impegnata in duro un confronto con Teheran, che si combatte per procura in Yemen.
La visita di Putin a Riad, l’alleato più importante degli Usa nel mondo arabo, è la prima in 12 anni. Il viaggio ha fruttato a Mosca e ai sauditi 21 tra accordi e impegni reciproci nei settori energetico, petrolchimico, dei trasporti e dell’intelligenza artificiale. Tra questi c’è anche l’accordo per un investimento da 10 miliardi di dollari del Saudi Arabian Public Fund in alcuni progetti da realizzare in Russia. Investimenti che fanno bene all’economia russa. Intese quindi anche in campo energetico, con il primo investimento della compagnia statale saudita Saudi Aramco in Russia, un Paese non Opec.
Ma Putin e Re Salman avranno anche parlato di cooperazione in ambito militare e questa non è una buona notizia per gli Stati Uniti. «Non c’è nulla da dire, solo dei programmi», ha dichiarato il portavoce del Cremlino Peskov in merito alla possibile vendita del sistema missilistico russo S-400 all’Arabia Saudita, colpita di recente dagli attacchi ai propri stabilimenti petroliferi e forse non più tanto sicura della protezione americana. Quando a giugno Trump ha fermato in corso l’attacco all’Iran, dopo l’abbattimento del drone Usa da parte di Teheran, i sauditi devono aver capito che Washington non è disposta a usare la forza contro il nemico sciita. Ancora niente di concreto, dunque, sulla questione assai spinosa del sistema S-400, dato il recente rifornimento di un nuova batteria di missili americani Patriot e di 3mila truppe da parte Usa al regno saudita.
Ma Putin non ha trascurato di incontrare anche Mohammed bin Zayed (MBZ), fratello dell’Emiro di Abu Dhabi, attuale presidente dell’EAU. MBZ è stato indicato quale leader più influente del mondo arabo. Il principe MBZ, per capirci, è l’uomo che ha convinto Donald Trump ad appoggiare pubblicamente Khalifa Haftar, determinando il cambio di strategia degli Stati Uniti in Libia. Putin, in conclusione, nei delicati giochi di potere in Medio Oriente persegue la sua linea e sembra non sbagliare neanche una mossa.
RIYADH, SAUDI ARABIA , OCTOBER 14, 2019: Russia’s President Vladimir Putin (L) and King Salman bin Abdulaziz Al Saud of Saudi Arabia at a ceremony to sign joint documents following Russian-Saudi talks. Mikhail Metzel/TASS
Erminia Voccia
Giornalista professionista, campana, classe 1986, collabora con Il Mattino di Napoli. Laurea magistrale in Relazioni Internazionali presso l’Università “L’Orientale” di Napoli. Master in giornalismo e giornalismo radiotelevisivo presso Eidos di Roma. Appassionata di Asia.
Non c’è più la politica di una volta
26 Set 2024
In libreria dal 20 settembre, per la collana Montesquieu, Fuori di testa. Errori e orrori di politici e comunicatori,…
Perché l’Occidente deve cercare un confronto con Orban
29 Lug 2024
Il sostantivo «cremlinologo» aveva certo molti anni fa una sua funzione, di là dal definire l'etichetta di uno…
La crisi della democrazia negli Stati Uniti
14 Lug 2024
Che America è quella che andrà al voto il 5 novembre 2024 per eleggere il suo presidente? Chi vincerà lo scontro tra…
Il dilemma israeliano, tra Hamas e Iran
26 Apr 2024
Esce in libreria il 10 maggio Ottobre Nero. Il dilemma israeliano da Hamas all'Iran scritto da Stefano Piazza, esperto…