Dopo due settimane di blocco, in Yemen gli aiuti umanitari tornano a essere consegnati nel porto di Hodeida e all’aeroporto della capitale Sanaa, entrambi in mano ai ribelli sciiti Houthi. Lo ha comunicato il 22 novembre la coalizione militare araba guidata da Riad dopo aver ispezionato le spedizioni di cibo e medicinali fatte arrivare nel Paese dall’ONU e da diverse organizzazioni umanitarie internazionali.
L’ordine di chiudere le frontiere aeree, terrestri e marittime dello Yemen era stato dato due settimane fa in risposta all’attacco missilistico sferrato dai ribelli a inizio mese contro l’aeroporto internazionale King Khaled vicino Riad. Un attacco che, a detta dei sauditi, sarebbe stato reso possibile grazie al sostegno bellico che l’Iran garantirebbe indisturbato agli Houthi.
La crisi umanitaria
Dopo ripetuti scambi di accuse tra Riad e Teheran, adesso arriva questa prima concessione da parte di Casa Salman. Si tratta però di un passo in avanti insufficiente secondo le Nazioni Unite, che continuano a lanciare l’appello su questa guerra dimenticata in cui ogni giorno centinaia di persone muoiono di fame e per malattie debellate da decenni in Occidente. Secondo il Comitato Internazionale della Croce Rossa oggi in Yemen circa 2,5 milioni di persone non hanno accesso all’acqua potabile e uno su 12 è gravemente malnutrito.
I morti accertati dall’inizio del conflitto sono stati 8.600, più di duemila dei quali deceduti a causa del colera. Il blocco del porto di Hodeida negli ultimi giorni è stato il colpo di grazia per il disperato popolo yemenita. Situato a circa 175 km da Sanaa, già prima della guerra il porto era lo snodo principale da cui transitava la fetta più consistente delle importazioni di cibo e medicinali dall’estero. La sua chiusura, sommata a quella dell’aeroporto della capitale, ha privato gli ospedali ancora attivi nel Paese di forniture mediche di base, compresi i vaccini. Ciò ha innescato in tempi rapidi l’insorgere di un’emergenza difterite con i primi casi di decessi denunciati oltre che dalla Croce Rossa anche dall’Organizzazione Mondiale della Sanità.
Lo scontro tra Riad e Teheran
Il monito dell’ONU affinché Riad non ostacoli ulteriormente l’arrivo di aiuti nel Paese sembra però destinato a reggere per poco. Seppur declassato da tempo a teatro di un conflitto di “serie b”, lo Yemen rappresenta comunque una posta in palio che né i sauditi né gli iraniani hanno intenzione di lasciarci sfuggire. Motivo per cui a questa “tregua” temporanea concessa dall’Arabia Saudita presto seguiranno nuovi bombardamenti sauditi da una parte e, in parziale risposta, lanci di missili degli Houthi con il sostegno di Teheran.
È un gioco al massacro in cui l’unica regola che si rispetta a livello internazionale è quella di non interferire. Non lo fanno gli alleati dell’Iran, a cominciare dalla Russia, impegnata con Teheran in Siria a sostegno di Bashar Assad. E allo stesso modo, non lo fanno i partner dell’Arabia Saudita. Vale per gli Stati Uniti, che puntano sul patto tra il presidente Donald Trump e l’erede al trono saudita Mohammed bin Salman in funzione anti-iraniana, e che per questo motivo si stanno impegnando a portare sul tavolo del Consiglio di sicurezza dell’ONU prove che testimonino il coinvolgimento dell’Iran in questa guerra al fianco degli Houthi. E vale anche per quelle altri grandi potenze che vendono armi a Riad, tra cui spiccano sempre gli USA tallonati dal Regno Unito. Un business miliardario a cui nessuno è disposto a rinunciare, neanche l’Italia che secondo i dati ISTAT nei primi sei mesi del 2017 ha esportato in Arabia Saudita forniture per oltre 28,4 milioni di euro. Nello stesso periodo del 2016 il valore era stato di 4,6 milioni.
Rocco Bellantone
Caporedattore di Babilon, giornalista professionista, classe 1983. Collabora con le riviste Nigrizia e La Nuova Ecologia di Legambiente. Si occupa di Africa, immigrazione e ambiente.
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