Dopo anni di contrasti, Eritrea e Etiopia hanno raggiunto un importante accordo di pace i cui esiti potrebbero influenzare profondamente la “fisionomia” dei due Paesi.

1. LE TAPPE DELLA PACIFICAZIONE

Dopo la cerimonia di riapertura dell’ambasciata dell’Eritrea ad Addis Abeba, avvenuta il 16 luglio, a cui ha partecipato il Presidente eritreo Isaias Afewerki e il Primo Ministro etiope Abiy Ahmed, la riconciliazione tra i due paesi è stata segnata da un ulteriore passo in avanti: il 18 luglio, infatti, è stata ripristinata, dopo vent’anni, la rotta aerea tra Addis Abeba e Asmara. Il volo commerciale, i cui biglietti sono stati venduti in una sola ora, è un ulteriore conseguenza di questa fase di distensione che si è aperta il 6 giugno, quando il Primo Ministro Abiy Ahmed ha ufficialmente accettato il cosiddetto accordo di Algeri, stipulato nel lontano 2000. Tale “agreement” prevedeva che entrambi i paesi, dopo i due anni di guerra (1998-2000), avrebbero accettato le conclusioni della Commissione internazionale, creata ad hoc in merito alla spartizione dei 1033 chilometri del confine etiope-eritreo. Nel 2002 l’Eritrea Ethiopia Boundary Commission (EEBC) assegnò la città di Badme e le aree adiacenti, per le quali ebbe origine il conflitto nel 1998, all’Eritrea provocando la reazione negativa del Primo Ministro etiope dell’epoca, Meles Zenawi, a qualsiasi atto di riconciliazione tra i due paesi. Quindi, la recente mossa politica del Primo Ministro Ahmed ha permesso un concreto avvicinamento tra Etiopia e Eritrea, per molti inaspettato, culminato poi il 9 luglio con la firma di un nuovo accordo di pace e amicizia siglato dai rispettivi leader ad Asmara.

2. LE CONSEGUENZE DELL’ACCORDO PER AHMED

Questo disgelo con la vicina Eritrea rafforza notevolmente la posizione del Primo Ministro Ahmed in patria e in tutto il mondo, dando slancio alla sua agenda di riforme che ha ideato sin dal suo insediamento. Infatti, oltre ad un effetto positivo in termini sociali – molte famiglie ora potranno, grazie alla riapertura delle linee telefoniche, risentire perlomeno le voci dei propri cari al di là del confine dopo vent’anni di silenzio – l’accordo raggiunto con il Presidente Afewerki avrà immediate conseguenze in termini economici e commerciali. In primis, l’Etiopia potrà tornare ad utilizzare i porti eritrei di Assab e Massau, ponendo fine alla dipendenza etiope nei confronti di Gibuti per i trasporti commerciali esteri – il 90% delle merci arriva e parte dalla piccola nazione del Corno d’Africa. Inoltre, l’apertura del mercato eritreo, avulso lontano dal libero scambio e rappresentato da 5 milioni di potenziali nuovi consumatori, potrebbe rafforzare l’economia etiope sempre più in crescita. Dal punto di vista della politica interna, invece, il pericolo principale per Ahmed può derivare dal Tigrayan People’s Liberation Front (TPLF), il partito di etnia tigrina che guida la coalizione di governo, l’Ethiopian People’s Revolutionary Democratic Front, dal 1991. Le crescenti dimostrazioni di piazza e la nomina ad aprile di Ahmed, di etnia Oromo, hanno però indebolito notevolmente il TPLF, il quale si è opposto esplicitamente all’accordo di pace con l’Eritrea e anche alle riforme volute dal Primo Ministro, in particolare alla privatizzazione nei settori delle telecomunicazioni e dei trasporti.

 

3. LE CONSEGUENZE DELL’ACCORDO PER AFEWERKI

La pace raggiunta potrebbe invece essere un vero e proprio spartiacque per l’Eritrea e il regime di Afewerki. Infatti, la trasformazione dell’Etiopia da nemico storico a fraterno partner economico, interroga Asmara su due quesiti di notevole importanza: quale futuro si prospetta per quelle migliaia di uomini e donne che tra i 18 e i 40 anni sono soggetti alla coscrizione obbligatoria, definita necessaria per difendere il paese da un eventuale attacco di Addis Abeba? Inoltre il regime eritreo saprà cogliere l’opportunità per rivitalizzare la propria economia stagnante grazie ai nuovi scambi commerciali stipulati con l’Etiopia? In generale, se da un lato la svolta pacifica viene interpretata dalle numerose comunità eritree residenti all’estero come un’occasione perfetta per intraprendere uno sviluppo democratico del Paese, dall’altro i molteplici dissidenti politici ritengono che l’apertura all’Etiopia serva solo a riabilitare l’immagine di Afewerki all’estero così da ottenere nuovi fondi per la mal ridotta economia statale eritrea mantenendo però sempre saldo il potere nelle sue mani.

Giulio Giomi