Il giorno della Brexit, il futuro dei traffici tra Londra e Ue

 Il giorno di Brexit. Alla mezzanotte di oggi 31 gennaio terminerà il difficile e tormentato matrimonio Unione Europea e Regno Unito. Da stasera il Regno Unito non sarà più considerato uno Stato membro dell’Ue ma un Paese terzo. Mercoledì 29 gennaio il Parlamento Europeo ha approvato l’accordo su Brexit concordato dal governo britannico e dalla Commissione Europea. Era l’ultimo passo necessario per portare a compimento la prima fase dell’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea. L’accordo era stato approvato precedentemente dal parlamento britannico e da Commissione e Consiglio.  Il 2020 sarà dedicato ai negoziati per definire le relazioni future tra Londra e Bruxelles, in particolare negli ambiti del commercio e della sicurezza. L’obiettivo è un trattato di libero scambio, ma sarà molto complicato concluderlo, visti i tempi molto stretti. Dal referendum popolare del 2016 si discute di Brexit e delle sue possibili conseguenze sul piano dei traffici commerciali. Gli scenari più probabili dal punto di vista commerciale a cui Regno Unito e Unione Europea dovranno prepararsi nei prossimi anni.

L’INCERTEZZA E LO SCAMPATO PERICOLO DI UN “NO DEAL

A partire dal 23 giugno 2016 le relazioni tra Regno Unito e Unione Europea sono state caratterizzate da un ampio grado di incertezza. Anche una volta superato lo shock iniziale di coloro che non credevano possibile l’uscita della Gran Bretagna dall’Unione, l’alea è rimasta indiscussa protagonista. Il caos è ulteriormente aumentato dopo il marzo 2017, quando a Bruxelles è stata recapitata la lettera di recesso del Regno Unito dai Trattati. Mesi di trattative, incomprensioni, inconcludenti discussioni in seno al Governo britannico non hanno portato a nulla di fatto.
Alle incomprensioni interne si è aggiunto, nel 2019, lo spauracchio di un’uscita disordinata. Uscire senza un accordo dall’Unione Europea avrebbe significato condannare i britannici a una condizione di isolamento, quantomeno temporaneo. Senza un accordo commerciale, infatti, si sarebbero rallentate le esportazioni e le importazioni, con conseguenze soprattutto di breve periodo. Non solo. La mancanza di comunicazioni commerciali in entrata e in uscita avrebbe avuto un forte impatto anche nel settore dell’approvvigionamento di medicinali, provocando potenziali danni ai residenti nel Regno Unito. Gli spazi aerei europei, senza un accordo, sarebbero rimasti chiusi per i velivoli britannici, e ugualmente ci sarebbero stati problemi per la navigazione marittima.
Insomma, sebbene alcuni tra i più tenaci membri Tories fossero, almeno a parole, disposti a correre una serie di rischi più o meno prevedibili, accettando un no Deal pur di uscire velocemente dall’UE, la maggioranza dei britannici si è dimostrata molto più cauta. Numerosi cittadini intervistati negli ultimi tre anni hanno affermato, infatti, di non aver affrontato il referendum del 2016 con l’adeguata consapevolezza delle conseguenze che Brexit avrebbe comportato, soprattutto in campo economico.
La presenza di un Deal, sebbene rassicurante, non deve ingannare. Negli anni a venire, infatti, l’UE e il Regno Unito dovranno rinegoziare tutti i trattati commerciali. Tenendo conto delle tempistiche, potrebbe essere una procedura veloce, come i sostenitori del Primo Ministro spererebbero, oppure più lunga e complessa. Basti pensare che l’Unione Europea prima di giungere alla conclusione di un trattato commerciale con il Canada ha impiegato ben sette anni.

Fig. 1 – Una manifestazione di indipendentisti scozzesi

IL DEAL DI BORIS JOHNSON IN TEMA DI SCAMBI COMMERCIALI 

Il piano di Johnson è lineare nei suoi elementi principali e non distante da quella di Theresa May, più volte bocciata nel corso del 2019. Secondo il piano dell’attuale Primo Ministro, Il Regno Unito rimarrà parte dell’UE durante il periodo di transizione, che si concluderà il 31 dicembre 2020.
Il programma di Johnson sembra offrire una soluzione a uno dei nodi più intricati della Brexit: il confine tra Irlanda del Nord e Repubblica irlandese. Impedire il ristabilirsi di un hard border tra i due territori permetterebbe di evitare un ritorno alle violenze acquietatesi da pochi decenni.
Per quanto riguarda i possibili sviluppi in termini commerciali per i rapporti UE-UK, tutto è ancora da definire. Di certo vi è solamente che tutti gli accordi commerciali dovranno essere rinegoziati da capo. L’opzione più probabile al momento è che si pervenga a un accordo che escluda l’imposizione di dazi reciproci sulle merci. È evidente, però, che qualunque intesa l’Unione troverà con il Regno Unito, le condizioni non saranno mai vantaggiose quanto la permanenza all’interno di un’unione doganale.

Fig. 2 – Boris Johnson si appresta a iniziare la fase 2 dei negoziati con l’UE, ma non sarà una partita facile

LE POSSIBILI CONSEGUENZE COMMERCIALI PER REGNO UNITO, UNIONE EUROPEA E STATI UNITI

Sulla base dell’attuale status quo, si possono fare alcune osservazioni sulle possibili conseguenze in campo commerciale che la Brexit porterà per i suoi tre protagonisti.
Per il Regno Unito le notizie non sono buone, dal momento che già ora l’economia britannica, dominata dall’incertezza, ha rallentato il ritmo. Molte imprese hanno deciso di spostare le proprie sedi in Irlanda o in altri Paesi UE, dal momento che nulla si sa di cosa accadrà dopo, anche in termini di tassazione.
Parlando specificamente del commercio, i britannici potrebbero sperimentare un innalzamento dei prezzi di tutti i prodotti importati da Paesi UE. Ciò potrebbe anche indebolire la sterlina, diminuendone il potere d’acquisto e innalzando l’inflazione. Si pensi che circa un terzo delle importazioni dell’isola provengono dall’UE.
Un impatto negativo potrebbe verificarsi anche sul piano dell’innovazione tecnologica e dello scambio di know how con gli altri Paesi europei, a meno che il Regno Unito non riesca a negoziare la propria permanenza all’interno di Horizon 2020. Inoltre sembra che Londra non parteciperà nemmeno più al programma Erasmus, che permetteva a giovani promettenti di tutta Europa di studiare in Gran Bretagna.
Il Regno Unito vedrà ulteriormente diminuire gli introiti nel settore degli appalti, dal momento che probabilmente andrà incontro a limitazioni nella partecipazione alle gare europee.
Per l’Unione Europea la conseguenza, più che commerciale, potrebbe essere sul piano dell’immagine. Dopo la Brexit si sono diffusi in tutta Europa partiti antieuropeisti, che spesso invocano un referendum analogo a quello. Per la sopravvivenza dell’UE sarà importante rispondere in maniera compatta alle forze centrifughe che provengono dal suo interno. Per questo motivo Bruxelles non può adottare un atteggiamento troppo arrendevole nei confronti di Londra durante la seconda fase delle trattative, per evitare di mostrarsi troppo “morbida” verso altri Paesi che potrebbero avere voglia di seguire l’esempio del Regno Unito.
Per quel che riguarda gli USA, Washingron ha certamente contribuito a far sì che la Brexit diventasse realtà. Dalle promesse di vantaggiosi accordi commerciali, al rispolvero – quantomeno a parole – della special relationship, gli Stati Uniti si possono considerare la terza forza che ha preso parte a questo complicata ed estenuante dinamica. Per gli USA una partnership commerciale speciale con il Regno Unito non cambierebbe molto in termini economici, ma sicuramente in termini politici. Il Regno Unito potrebbe diventare, ancora più di quanto già non sia, uno strategico avamposto statunitense in terra europea.
Il rinnovo della special relationshiptra Regno Unito e Stati Uniti non significherebbe necessariamente un vantaggio per il primo. Infatti il rischio di dipendenza economica che il Regno Unito corre rispetto agli USA è molto alto.
In secondo luogo, si tratta di processi molto lunghi in termini di tempo, indubbiamente molto più duraturi di una legislatura. Un’eventuale discontinuità nella leadership dei due Paesi potrebbe influire molto sulle relazioni commerciali, rendendo il Regno Unito una pedina in balia degli umori politici del momento. In altre parole, sarebbe molto più vantaggioso per quest’ultimo non legarsi a doppia mandata ai tradizionali partner d’oltreoceano, andando, invece, a diversificare le proprie alleanze commerciali.

Mariasole Forlani, Il Caffè Geopolitico