Cobalto in Congo, mai più schiavi delle risorse

Buona parte del cobalto che dà vita ai nostri pc portatili si trova in Repubblica Democratica del Congo, dove sono stati uccisi il nostro ambasciatore Luca Attanasio, il carabiniere Vittorio Iacovacci e il loro autista. Eppure, il Paese rimane uno dei più poveri del pianeta

Dal mensile di febbraio – Dalla guerra per il petrolio e il gas a quella per i metalli che alimenteranno la produzione su larga scala di auto elettriche. Il futuro prossimo potrebbe riservare nuovi conflitti all’Africa, quelli per l’accaparramento di materie prime. E a pagarne il prezzo più caro continueranno a essere quei Paesi da cui queste risorse vengono estratte per essere poi saccheggiate dall’estero.

Nella corsa al primato sul fronte della mobilità elettrica, lo scatto decisivo in Africa si consumerà in Repubblica Democratica del Congo (Rdc). Nell’Eldorado del cobalto, ovvero il minerale che alimenta le batterie ricaricabili agli ioni di litio da cui prendono vita i nostri smartphone, tablet e computer portatili, negli ultimi anni sono scese in campo le grandi case automobilistiche, mettendo pressione anche ai pionieri del settore (Tesla su tutti). Ma come è già accaduto in passato, il rischio è che nelle mani della povera Rdc non rimanga nulla.

Quelle stesse potenze che ora si dichiarano pronte a lottare per la verità in Congo e affinché si fermino le violenze di oggi sono esse stesse parte di questi crimini – John Mpaliza

Risorse da spartire

Per John Mpaliza, cittadino italiano di origine congolese, promotore nel 2019 in Italia della marcia “Restiamo umani”, è un destino dal quale la sua terra difficilmente riuscirà a sottrarsi. Perché al netto delle promesse di sostegni più mirati da parte della comunità internazionale, e dell’intenzione dell’Unione Africana di porre lo sviluppo sostenibile del continente in cima alle priorità dell’Agenda 2063 dell’Unione Africana, vista da fuori l’Africa continua ad apparire come “una magnifica torta da spartire”, volendo citare le infelici parole di Re Leopoldo II del Belgio, padrone del Congo dal 1885 al 1908.

«Dove guadagni non puoi augurarti che cambino le cose», sentenzia John Mpaliza, la cui voce si è fatta spesso sentire negli ultimi mesi nel dibattito sull’istituzione di un tribunale penale internazionale per i crimini di guerra e contro l’umanità che tra il 1993 e il 2003 in Rdc causarono la morte di circa sei milioni di persone e centinaia di migliaia di sfollati.

«Quelle stesse potenze che ora si dichiarano pronte a lottare per la verità in Congo e affinché si fermino le violenze di oggi sono esse stesse parte di questi crimini – spiega – Basta guardare ai carichi di minerali che i militari della missione di pace dell’Onu (Monusco, Mission de l’Organisation des Nations unies pour la stabilisation en République démocratique du Congo, ndr) fanno uscire illecitamente dal Paese.

Ma il Congo non ha solo risorse minerarie. I nostri terreni sono fertili e oltre che per le coltivazioni intensive, su cui stanno puntando i Paesi europei e la Cina, possono essere utilizzati per molte altre cose. Senza dimenticare che la foresta pluviale del bacino del Congo assorbe quantità enormi di anidride carbonica, e bisogna difendere questo polmone verde che, dopo quello dell’Amazzonia, è il secondo più grande del pianeta».

Sul totale globale, il 60% del cobalto è prodotto in Repubblica Democratica del Congo

Mercato unico africano

La sfida dei prossimi anni per la Rdc, e in generale per tutta l’Africa, è dunque cambiare il proprio destino e non essere più schiava delle sue risorse. «Sarebbe utopico pensare che da ora in avanti nessuno prenderà il nostro cobalto – conclude Mpaliza – Ma è il momento di darsi da fare: i governanti dei Paesi africani devono unirsi per creare quel mercato unico africano necessario a trasformare le materie e vendere poi all’estero il prodotto finito o semifinito. È qui che dobbiamo arrivare. Così gli altri non prenderanno e basta, come hanno già fatto con il petrolio».

Pubblicato su La nuova ecologia