Come si è chiuso il vertice sulla Libia a Berlino

Domenica 19 gennaio si è svolto a Berlino il vertice che avrebbe dovuto trovare una soluzione per il conflitto in Libia. La Conferenza internazionale è stata fortemente voluta dalla cancelliera tedesca Angela Merkel e dalla Missione Onu in Libia. Un tentativo dell’Europa di riprendere in mano le sorti della guerra civile, scappata al controllo dei Paesi europei. Il vertice di Berlino si è chiuso con la decisione dei Paesi coinvolti di non fornire più armi alle parti in guerra. Al termine dei lavori Merkel è apparsa moderatamente soddisfatta. «Siamo consapevoli che non abbiamo risolto tutti i problemi, ma abbiamo creato la base per poter procedere sul percorso tracciato delle Nazioni Unite e da Salamé. Siamo tutti d’accordo che dovremo rispettare l’embargo sulle armi e che il rispetto dell’embargo dovrà essere controllato e monitorato con maggiore attenzione di quanto è accaduto in passato», ha affermato la cancelliera.

Il vertice è iniziato nel pomeriggio di domenica nella sede della cancelleria tedesca ed è andato avanti per 4 ore. C’erano i leader delle Nazioni Unite, dell’Unione Europea, dell’Unione Africana e della Lega Araba. Alla fine dei lavori è stata presentata una dichiarazione condivisa secondo cui i partecipanti hanno chiarito di volere la fine di tutte le oprazioni militari delle parti in conflitto sul territorio libico e sopra il territorio della Libia, a partire dall’inizio del cessate il fuoco. In base al documento finale, i partecipanti alla conferenza si sono impegnati ad astenersi dalle interferenze nella guerra e negli affari interni del Paese africano. È stato chiarito che solo un processo politico guidato dalla Libia può davvero porre fine al conflitto e portare a una pace durevole.

Il presidente russo Putin, quello turco Erdoğan, l’egiziano Al Sisi, il principe degli Emirati Mohammed bin Zayed, il Segretario di Stato americano Mike Pompeo e il presidente francese Emmanuel Macron hanno firmato una dichiarazione comune che in base all’articolo 6 prevede: «Ci impegnano ad astenerci da qualsiasi ingerenza nel conflitto armato e negli affari interni della Libia, e incoraggiamo tutti gli altri soggetti coinvolti a fare lo stesso». Merkel ha aggiunto: «Tutti gli Stati sono d’accordo che abbiamo bisogno di una soluzione politica e che non ci sia alcuna chance per una soluzione militare. Abbiamo messo a punto un piano molto ampio, tutti hanno collaborato in modo molto costruttivo». Tra coloro che hanno firmato la dichiarazione congiunta ci sono anche i Paesi che hanno già violato apertamente l’embargo imposto dalle Nazioni Unite sulla vendita di armi alla Libia, una guerra civile sfociata in un conflitto regionale. Tuttavia, i firmatari della dichiarazione hanno rinnovato il sostegno al piano delle Nazioni Unite presentato dal rappresentante Ghassan Salamé. L’Alto rappresentante per gli Affari esteri dell’Ue  ha detto di essere favorevole a «ripristinare» la missione navale Sophia per monitorare l’embargo sulle armi.

A Berlino è apparso chiaro che restano le divisioni tra i due rivali in Libia, il generale Khalifa Haftar e il premier Al Serraj. Tuttavia, è stato raggiunto un doppio accordo tra l’uomo forte della Cirenaica e il primo ministro di Tripoli. Il primo punto è l’accordo per creare un comitato militare congiunto utile a monitorare un’eventuale tregua, comitato riguardo al quale sia Haftar che Al Serraj hanno indicato i nomi di 5 membri. Per tutta la durata della conferenza i due non si sono parlati e sono rimasti in stanze separate. Il secondo punto è l’accordo per dare vita a una conferenza intra-libica da tenersi probabilmente a Ginevra. Si tratta di impegni puramente formali che dovranno essere supportati su azioni concrete. Il cessate il fuoco appare comunque fragile e ci sono molti dubbi su come dovrà essere rispettato. Il ministro degli Esteri russo non ha nascosto di essere preoccupato ma ha riconosciuto che entrambe le parti hanno compiuto “un piccolo passo” in avanti per la stabilità della Libia.

Sabato 18 gennaio Khalifa Haftar aveva ordinato la chiusura dei porti e il giorno seguente le milizie a lui fedeli hanno preso il controllo anche di Zueitina. Il Qatar, alleato di Al Serraj, aveva espresso la propria disapprovazione rispetto all'”aggressione” al terminal. Come tentativo di alzare la posta in gioco, gli alleati di Haftar negli ultimi giorni hanno bloccato i pozzi petroliferi nell’Est della Libia, fermando la produzione di 800mila barili di petrolio al giorno, fonte primaria di guadagno del Governo di Al Serraj.