L’intervista alla virologa italiana Ilaria Capua, famosa nel mondo per aver reso di dominio pubblico la sequenza genetica dell’aviaria. E che, in risposta all’emergenza del nuovo Coronavirus, propone un approccio alternativo. Basato sul concetto di circolarità
Per affrontare il virus Sars-CoV-2, da cui ha avuto origine l’influenza Covid-19 che sta costringendo alla quarantena il pianeta, le politiche di contenimento non bastano. Questa emergenza deve essere “sfruttata”, finalmente, per provare a raggiungere la radice del problema. Una radice avviluppata al rapporto squilibrato fra l’invasività delle attività e dei consumi dell’uomo e l’ambiente che lo circonda. È un tentativo che a prima vista può essere respinto in quanto considerato “non prioritario” rispetto al tamponamento della crisi e alla ricerca di un vaccino. Ma è l’unica strada da percorrere per impedire in futuro un nuovo “salto di specie”. Come quello del pipistrello che da una foresta remota dell’Asia è stato scaraventato nella megalopoli cinese di Wuhan, innescando la pandemia che ci stiamo trovando ad affrontare. Fra i primi a indicare un approccio nuovo al concetto di salute e malattia, “circolare” nel voler osservare a 360 gradi l’uomo e il suo impatto sulla natura, è stata in tempi ancora non sospetti Ilaria Capua. Virologa famosa a livello internazionale per aver reso di dominio pubblico la sequenza genetica del virus dell’aviaria, autrice di un libro sull’argomento (Salute circolare. Una rivoluzione necessaria, Egea), oggi dirige il centro di ricerca One health center of excellence dell’Università della Florida. Da qui ogni giorno, in coincidenza con l’accelerazione dei contagi da nuovo Coronavirus anche in Italia, si impegna per diffondere un’informazione corretta sulla natura della malattia. Provando a spiegare che tutto è collegato.
Lei sostiene che questa pandemia nasce da una connessione diretta fra le attività dell’uomo e l’impatto che hanno sulla natura. Perché?
Perché abbiamo creato un sistema che è stato poco rispettoso dell’ambiente. Tutto il problema dell’emergenza Covid-19 nasce in una foresta dell’Asia al cui interno vivono dei pipistrelli. Questi pipistrelli sarebbero dovuti rimanere nel loro spazio, nella loro nicchia ecologica. E invece è accaduto il contrario. Sono stati cacciati, per essere poi venduti nei mercati. Oppure il loro habitat naturale è stato invaso dall’uomo e sono stati costretti a fuggire. Ciò ha fatto sì che il virus presente nel mezzo di una foresta, e che lì doveva rimanere, si è trovato catapultato in una megalopoli, in un mercato in cui c’erano tanti altri animali di provenienza diversa e portatori di tanti altri virus diversi.
Qual è stata la conseguenza della migrazione “forzata” di questo animale?
Se si forzano determinate situazioni e si spingono dei soggetti a stare a contatto con altri soggetti, quando invece a con- tatto non dovrebbero starci, si creano degli squilibri. Ed è proprio quello che è successo con la propagazione di questo nuovo Coronavirus. Per la comprensione e la possibile prevenzione del diffondersi di nuovi virus, lei propone un approccio nuovo attraverso cui ripensare il rapporto uomo-salute e fra questi due elementi e la natura.
Come può essere messo in pratica un cambio di visione simile?
Il primo passo da compiere è, per l’appunto, guardare alla salute come a un sistema che interagisce con gli altri sistemi del pianeta, comprese le sue componenti inanimate. Faccio un esempio per provare a rendere comprensibile questo concetto. Se per controllare e arginare il diffondersi di una malattia trasmessa dalle zanzare come la Zika (l’agente causale di una malattia virale acuta che provoca manifestazioni cliniche molto simili a quelle della dengue e della chikungunya, ndr) si spruzzano determinate sostanze, uccidendo miliardi di api, è evidente che questo non va bene. È necessario trovare modi di- versi per contrastare il diffondersi di malattie trasmesse da vettori, come il pipistrello della foresta asiatica nel caso del nuovo Coronavirus, e tutelare la biodiversità. Non credo che non ci siano modi alternativi rispetto a quelli su cui si è puntato finora. Il problema è che i modelli che ci sono adesso sono ormai consolidati e si fa molta fatica a cambiarli.
Un altro dei capisaldi del suo nuovo approccio per una salute circolare è la condivisione dei dati. Lei ha lanciato un appello all’Unione Europea chiedendo un’armonizzazione nella classificazione dei casi di Covid-19. L’Europa è pronta ad accogliere questa richiesta?
Ci vuole, innanzitutto, una convergenza di intenti. I dati ci sono, ma sono sempre stati raccolti e analizzati in maniera disomogenea. È per questa ragione che si fa fatica a mettere a confronto ciò che è accaduto in alcune zone dell’Italia con lo stato dell’emergenza in altre parti d’Europa. Sarebbe fondamentale avere una voce autorevole, un comitato europeo di esperti che aiuti i Paesi almeno a parlare la stessa lingua quando si parla di persone ammalate e di persone che muoiono. È importante che tutta l’Europa sia unita sui criteri di categorizzazione delle varie facce di questa malattia.
Pubblicato su La nuova ecologia
Rocco Bellantone
Caporedattore di Babilon, giornalista professionista, classe 1983. Collabora con le riviste Nigrizia e La Nuova Ecologia di Legambiente. Si occupa di Africa, immigrazione e ambiente.
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