Il dibattito sulla politica monetaria espansiva della BCE si è riacceso dopo i dati sulla crescita dell’ultimo trimestre del 2017. Le stime del PIL, più alte del previsto, sollevano dubbi sull’inflazione che potrebbe accelerare rapidamente.

 

Le decisioni di Draghi

Gli ultimi dati trimestrali relativi all’espansione economica nell’area euro hanno riacceso il dibattito sulla strategia monetaria messa in campo dalla BCE. Infatti, gli indicatori hanno mostrato una crescita del PIL in termini reali pari allo 0.6%, sostanzialmente maggiore rispetto a quanto previsto. L’annuncio fatto da Draghi in occasione della conferenza stampa dello scorso 14 dicembre ha risollevato i dubbi, soprattutto all’interno del Consiglio Direttivo, sulla politica monetaria espansiva promossa dal numero uno dell’Eurotower, che ha confermato anche nella più recente conferenza del 25 gennaio che il massivo piano di acquisto di titoli di stato sul mercato secondario da parte della BCE continuerà almeno fino al settembre 2018, se non oltre. Il presidente ha ribadito che gli stimoli monetari e le iniezioni di liquidità nel sistema verranno ridotti con estrema gradualità, sempre tenendo conto delle condizioni economiche contingenti, in modo da continuare a sostenere una ripresa che al momento è sicuramente spinta anche da altri fattori come la domanda domestica, la spesa in investimenti fissi e dalle favorevoli condizioni del mercato del lavoro.

Le parole di Draghi invitano quindi i mercati a restare cauti e a non cantar vittoria troppo presto per una crescita che seppur presente va comunque sostenuta, dato che le stime per l’inflazione per il 2018 si attestano attorno all’1.3%, valore che secondo le proiezioni rimarrà stabile fino al 2020. Le decisioni prese da Draghi mirano infatti a raggiungere il duplice obiettivo che la Banca Centrale Europea si è proposta negli anni post-crisi: da un lato il mantenimento di un’inflazione stabile, di poco inferiore al 2%, unico scopo dell’istituto secondo lo statuto ufficiale, dall’altro il continuo stimolo alla crescita economica che va resa stabile nel lungo termine grazie soprattutto all’azione congiunta dei governi nazionali, i quali, come ribadito da Draghi, devono implementare riforme strutturali per ridurre la disoccupazione e incrementare la produttività e il potenziale di crescita dell’area euro.

 

Tra falchi e colombe

 Nonostante le decisioni vengano prese in base a un criterio di maggioranza all’interno del Consiglio Direttivo dell’istituto, le votazioni non sembrano accompagnate da un consenso comune, e qualche voce fuori dal coro inizia a farsi sentire più nettamente dopo gli ultimi incontri dei governatori. Sono infatti i cosiddetti “falchi” come il presidente della Bundesbank Jens Weidmann e il membro del Comitato Esecutivo Benoit Coeuré che, seppur in minoranza, spingono per una politica monetaria che sia esclusivamente centrata sul raggiungimento del target dell’inflazione, e non influenzata da obiettivi secondari.

Al contrario Draghi e altre “colombe” come il capo economista Peter Praet, vogliono perseguire una linea più aperta, che sia in grado di rispondere in maniera proattiva alle esigenze economiche dei Paesi dell’eurozona. Tuttavia, i falchi conservatori avvertono con crescente preoccupazione che protrarre per troppo tempo una politica monetaria così espansiva rischia seriamente di far sfuggire di mano un’inflazione che, anche se oggi è contenuta, potrebbe impennare nei prossimi trimestri. Infatti ad oggi i Paesi europei stanno godendo di tassi di interesse a zero, anzi addirittura negativi nei tre anni passati, e di forti stimoli monetari continui ottenuti grazie al Quantitative Easing, il cui piano di acquisti è stato recentemente diminuito da 60 a 30 milioni di spesa in acquisto di titoli sul mercato secondario.

 

Come funziona

Ma come arriva la moneta dalla Banca Centrale all’economia reale? I paesi europei sono caratterizzati da un sistema bancario fortemente legato agli Stati; infatti la stragrande maggioranza degli istituti di credito ha nel proprio attivo ingenti quantità di titoli di stato, asset ritenuti sicuri, che danno solidità e sicurezza alle banche. Il ruolo della BCE, con il suo pacchetto di misure non convenzionali ideato per rispondere al disastro della Grande Recessione, è quello di acquistare i titoli di stato tenuti in pancia dalle banche offrendo così in cambio liquidità. Seguendo questo canale di trasmissione le banche dovrebbero utilizzare la moneta concedendo più prestiti ai cittadini, agli investitori e alle imprese che in questo modo riattivano la spesa e i consumi che portano alla crescita economica.

Tuttavia, un aumento del PIL prolungato e stabile nel corso dei vari trimestri dell’anno spinge sicuramente l’indice dei prezzi a rialzo, avendo così un impatto diretto sull’inflazione. Se si considera inoltre che la moneta immessa nel sistema economico oggi non ha effetti istantanei ma che si vedono nei periodi successivi, e l’esistenza di altri fattori contingenti come ad esempio il rialzo del prezzo del petrolio che spinge in alto l’indice dei prezzi, si può comprendere che le preoccupazioni dei falchi potrebbero non essere del tutto infondate. Ciò che è certo è che Mario Draghi nel corso del suo mandato si è assunto grandi responsabilità per fronteggiare un’aspra crisi che non si presentava in Europa da decenni e ha saputo dirigere un programma di misure non convenzionali che è stato testato per la prima volta in assoluto in Europa, di cui solo il tempo potrà mostrare i veri effetti.