E se mettere in discussione l’Italia da parte dell’Europa e l’Europa da parte dell’Italia fosse l’inizio della fine dell’Unione Europea? Sì, perché la crisi economica non è solo ad uso dei “poveri” paesi che si affacciano sul lato nord del Mediterraneo, cioè i terroni europei. Essa colpisce anche i “bravoni”, i “fenomeni” o sedicenti tali, tipo Francia e Germania. Qui analizzeremo la crisi economica e politica di questi due Paesi, in un momento in cui l’Italia ha provato a rimettersi al posto che le spetta sulla questione libica, con l’organizzazione dell’incontro internazionale di Palermo.

FRANCIA

La Francia di Emmanuel Macron non va così bene come si crede. Né va benissimo la Germania. Il presidente francese, tra una grave gaffe e l’altra, coltiva il suo evidente odio per l’Italia, ma ormai è certamente odiato anche dalla stragrande maggioranza dei suoi concittadini. L’ultima uscita alle celebrazioni della fine della Prima Guerra Mondiale è come quella di chi chiacchiera bene e razzola male. Macron ha detto che il nazionalismo tradisce il patriottismo e che il razzismo è un male assoluto. Ottimo, tutti d’accordo, ma se un bambino dovesse prendere l’esempio dal presidente francese vedrebbe che la Francia da sola lotta contro l’Italia e tutto il resto dei paesi occidentali in Libia per meri interessi nazionalistici e che alle frontiere francesi vengono respinti migranti tra i quali donne incinte e bambini, addirittura per “fare bene” questo lavoro i gendarmi francesi se ne infischiano delle frontiere e per difendere i loro confini sconfinano in Italia a dettare legge con i migranti.

I dati ufficiali di Parigi sanciscono, in questi giorni, che il potere d’acquisto dei francesi è diminuito dello 0,6%, mentre nel secondo trimestre del 2018 il Pil francese è passato dal +2,3% allo 0,2%. Una crescita ben peggiore di quella dell’odiatissima Italia. Cause: l’aumento del prezzo del petrolio, un dato facilmente prevedibile, e una diminuzione globale della domanda di beni prodotti in Francia.

Per tagliare il deficit pubblico, Macron punta inoltre all’abbassamento delle pensioni sotto il tasso di inflazione, e non applicherà la riforma, già prevista, del fisco alle imprese. Che dovranno pagare secondo i vecchi criteri. Mai far arrabbiare contemporaneamente i padroni e gli operai. E comunque il rapporto debito/Pil viaggia rapidamente verso il 100%. La crescita prevista ufficialmente è del 1,7% per l’anno prossimo, mentre il resto della UE, che si affanna sul caso Italia, è sempre più sospettosa per l’accumulo dei deficit di bilancio di Parigi che è già in fase di infrazione, ma non ancora invocata da parte della UE.

Che la Francia voglia fare lo stesso trucco di Berlino? Aumentare il surplus commerciale sperando di passarla liscia come la Germania?

La disoccupazione è comunque elevata: oggi è poco meno del 10%, con un totale di 2 milioni e 586 mila persone, particolarmente elevata nella fascia di età tra i 25 e il 45 anni: e soprattutto le persone disoccupate da molto tempo (oltre un anno) sono 1 milione e 60 mila. I lavoratori temporanei, in Francia, sono il 16,8% del totale degli occupati. In Italia, per esempio, sono il 15,5%. Un francese su cinque, oggi, è quindi in cerca di lavoro. Grazie probabilmente anche a Moscovici (trotzkista in gioventù), attuale Commissario europeo che, quando era al ministero delle Finanze a Parigi, aveva continuato la linea dei suoi predecessori, sforando allegramente e per anni il limite del 3% del Pil. Senza che nessuno se ne accorgesse.

Oggi, i nuovi disoccupati dell’era macroniana si sono aggiunti ai vecchi, e sono in crescita dello 0,5%, ovvero sono già saliti a 3,7 milioni. Il numero dei senza lavoro è attualmente cresciuto fino ai 5,9 milioni, comparando tutte le altre categorie di semi- e disoccupati, in un solo trimestre. Il numero dei senza lavoro di lunga durata è sempre (guardando i dati ufficiali) a 2,6 milioni di persone.

D’altra parte, la crescita economica si può avere solo così: o la diminuzione delle tasse e/o aumento della spesa pubblica, oppure l’aumento delle esportazioni e il conseguente aumento del debito privato. Altre tecniche non ne esistono. E Macron si è guardato bene ad adottare misure di razionale espansione produttiva.

Altre riforme fortemente sostenute da Macron sono: il tetto alle ammende imposte dai tribunali per i licenziamenti e la sostanziale eliminazione del sindacato nelle Piccole e Medie Imprese, che oggi possono, in Francia, trattare direttamente con i singoli lavoratori.
Sempre per quel che riguarda il fisco, con Macron è stata abolita la ISF (Impôt de Solidarité sur la Fortune), una sorta di patrimoniale inventata da Mitterrand, che è nata proprio per finanziare il Rmi, (Révenu minimum d’insertion), una sorta di reddito di cittadinanza, il quale fa da base anche al calcolo dello Smic, il salario minimo garantito, che è oggi di circa 1500 euro al mese.

Macron invece ha poi introdotto una nuova tassa, l’Ifi, Impôt sur la Fortune Immobilière, una imposta che si limita a tassare gli attivi immobiliari a partire dal valore di 1,3 milioni di euro per immobile. Una rovina, la fiscalità macronista, per tutta la classe media e perfino per la classe operaia. Che si vedrà aumentare in modo insostenibile gli affitti.

C’è infine la nuova CSG (Contribution Sociale Généralisée), che si applica su tutte pensioni superiori al minimo. In sostanza chi ha guadagnato dalle riforme fiscali del marito di sua nonna è stato l’esiguo ceto dei super-ricchi, che di solito finanziano le campagne elettorali dei candidati francesi alla Presidenza e vogliono naturalmente qualcosa in cambio.

Certo, Sarkozy ha bombardato il suo creditore, Gheddafi, ma non sempre è così facile risolvere i debiti presidenziali. Viene in mente quando Napoleone III fu nominato “Imperatore dei Francesi” nel 1848, che ebbe paura dei soldati che lo cercavano per recargli la Nomina, credendoli quelli che lo avrebbero condotto in prigione per debiti.

L’errore di Macron è stato soprattutto quello che circola ancora in tutte le sedicenti e ignoranti élites europee: se facciamo guadagnare di più i ricchi, essi investiranno di più e si creerà nuovo lavoro. Una “curva di Laffer” fuori tempo massimo, visto che nel 1980 Reagan l’adottò, aumentando comunque in modo eccessivo la spesa pubblica.

La curva di Laffer è quella correlazione secondo la quale una diminuzione delle imposte, soprattutto sui capitali, diventa positiva per il gettito fiscale, che aumenterebbe in base all’aumento degli investimenti.
Infatti Macron ha fatto guadagnare ai soli super-ricchi, quelli di cui curava gli interessi quando lavorava alla banca Rothschild, ben 1,27 miliardi di euro, il che fa 250.000 euro a persona. E solo con gli sgravi fiscali.

 

GERMANIA

Vediamo ora come va la Germania. Gli affitti a Monaco e Berlino sono aumentati del 58 o perfino del 73% dal 2010. È un dato pericoloso. Sono stati infatti gli operai sottopagati delle DDR e con un Euro che varrebbe comunque meno del marco tedesco attuale, se ci fosse, a garantire l’espansione dell’economia tutta “da esportazione” della Germania. Nel settembre scorso, le esportazioni tedesche sono calate dello 0,8% ogni mese. Le importazioni sono diminuite anch’esse, dello 0,4%. I cali più rilevanti per l’export tedesco sono nelle automobili e nella chimica. I cardini, fin dal XIX secolo, del ciclico miracolo economico tedesco.

Le previsioni ufficiali di Berlino parlano oggi della crescita del Pil di un solo, risicatissimo, 0,7% per tutto l’anno in corso, mentre per il 2019 ci sarà, con ogni probabilità, solo uno 1,5% di crescita del Pil. Un tasso “italiano”. È probabile che, come affermano alcuni economisti tedeschi, la Germania voglia perfino ritornare al Marco, secondo un progetto che Berlino avrebbe segretamente messo a punto nel 2012, nelle more della crisi Lehman Brothers, ovvero dell’ennesimo scarico delle tensioni finanziarie dagli Usa all’Europa.

A breve, gli Usa comincerebbero certo a lottare duramente contro il surplus dell’export tedesco, e bloccherebbero anche l’arrivo delle auto tedesche negli Usa. Trump lo ha già detto, quando inaugurò le sue azioni protezionistiche contro l’acciaio europeo: “non voglio più vedere delle Mercedes viaggiare su Park Avenue”. Se poi, data la crisi, si chiudono pure i mercati europei allora i tedeschi non troveranno il modo di equilibrare il mercato Usa ormai chiuso con i mercati europei ancora vitali. E se inizia la crisi tedesca allora le scelte sono solo due: o la Germania passa direttamente al Nuovo Marco, oppure i tedeschi distruggerebbero, con la nuova o la vecchia moneta, i loro concorrenti europei.

articolo pubblicato su alleo.it