Qualche giorno fa la moschea As-Sounna che si trova proprio nel centro di Marsiglia, attiva da oltre 10 anni, è stata chiusa per sei mesi su ordine del prefetto. Il provvedimento è stato preso a seguito degli infuocati sermoni tenuti dall’imam della moschea El Hadi Doudi, predicatore salafita di origine algerina molto conosciuto in Francia. Secondo le autorità di polizia francesi, El Hadi è diventato negli anni «un riferimento della dottrina salafita violenta», sempre più importante non solo per l’attività svolta nella sua moschea ma anche e soprattutto per quanto fatto sul web.
La chiusura della moschea As-Sounna non ha colto di sorpresa nessuno anche all’interno della comunità musulmana marsigliese. Secondo Abderrahmane Ghoul, vicepresidente di una locale associazione musulmana, «El Hadi Doudi è il leader spirituale di una tendenza che promuove odio e violenza. Lo abbiamo avvertito, abbiamo cercato di convincerlo, ma sfortunatamente lui non ci ha mai ascoltato».
Nell’ordinanza di chiusura della moschea il prefetto cita passi di prediche in cui l’imam invocava «la Jihad armata e la condanna a morte degli adulteri e degli apostati», «la sconfitta e la distruzione dei non credenti», «l’applicazione della legge del taglione contro coloro che combattono Dio e il suo profeta e per i quali la sentenza di Dio è la morte o crocifissione».
Chi è l’imam El Hadi Doudi
Algerino di 61 anni, El Hadi Doudi è noto per le sue idee radicali e per essere sempre stato un feroce antisemita visto che nei suoi sermoni parlava degli ebrei «come impuri, come fratelli delle scimmie e quindi dei maiali». È arrivato in Francia nel 1981 dopo essersi formato all’Università di Medina in Arabia Saudita. Sono certe le sue simpatie verso il Fronte di Salvezza Islamico (FIS), mentre non ci sono conferme su una sua detenzione in un carcere algerino per reati legati al terrorismo. Il suo è un radicalismo religioso non senza ambizioni economiche e di potere vista la volontà di rendere la sua moschea, ubicata in una zona particolarmente difficile e socialmente trascurata di Marsiglia, come «il più grande luogo di culto musulmano» della città. Ma come? Anche attraverso delle acquisizioni immobiliari. E con quali soldi? Nessuno lo sa e lui non ha mai confermato le indiscrezioni secondo le quali avrebbe accettato anche denaro sporco che avrebbe riciclato. Indiscrezioni rispetto alle quali è stato ascoltato dagli inquirenti nel 2016 senza però essere mai stato incriminato.
L’ultimo rapporto di TRACFIN
A proposito di riciclaggio di denaro per fini terroristici, TRACFIN (Traitement du renseignement et action contre les circuits financiers clandestins) nel suo ultimo rapporto intitolato Tendenze 2016 e analisi dei rischi, ha reso noto che nel 2016 i casi di «finanziamento del terrorismo» segnalati dall’intelligence francese sono stati 443.
Impressionante è la crescita del fenomeno anche nel 2017. Basti pensare che tra il primo gennaio e l’agosto del 2017 vi è stato un incremento del 78% rispetto allo stesso periodo del 2016. Nonostante la legge antiterrorismo firmata dal presidente Emanuel Macron il 30 novembre scorso, e che ha posto fine allo stato di emergenza proclamato dopo gli attentati di Parigi del 13 novembre 2015, in Francia non si ferma la costruzione di moschee e di sedi di associazioni islamiche di vario tipo realizzate con finanziamenti provenienti dai Paesi del Golfo. Da tenere d’occhio, in particolare, è l’aumento delle moschee controllate dai salafiti passate da 44 del 2010 a 120 del 2016, così come la loro distribuzione su tutto il territorio nazionale.
Non va dimenticato che la Francia è uno dei Paesi europei col più alto numero di foreign fighters partiti per andare a combattere in Siria e Iraq nelle fila dello Stato Islamico, ma anche una delle principali nazioni in cui i terroristi hanno poi fatto il percorso inverso. Una recente stima dell’International Centre for Counter-terrorism (ICCT) parla di 246 combattenti francesi tornati in patria.
Sono invece 265 i jihadisti francesi morti in Iraq e in Siria (257 uomini e 8 donne) secondo le statistiche dell’UCLAT (Unité de coordination de la lutte antiterroriste) inviate ai prefetti di tutti i dipartimenti del Paese.
Secondo il ministro dell’Interno Gérard Collomb nel 2017 sono stati sventati almeno 11 attentati dei quali alcuni avrebbero provocato centinaia di vittime. Per questo Laurent Nunez, nuovo direttore della DGSI, i servizi segreti interni della Francia, continua a richiamare l’interesse del mondo politico sui rischi dell’espansione dell’Islam radicale nel Paese. Il suo è un compito molto arduo visti gli intrecci che hanno coinvolto fino a pochissimo tempo fa politici di destra e sinistra con i Paesi del Golfo Persico e, nella fattispecie, con il Qatar.
Nos très chers émirs: il libro che fa discutere
Nel 2016 i giornalisti Christian Chesnot e Georges Malbrunot hanno pubblicato un libro dal titolo Nos très chers émirs (I nostri cari emiri) che ha fatto letteralmente impazzire in modo bipartisan il mondo politico francese. Gli autori, minacciati di denunce (mai arrivate) e di dover risarcire per milioni di euro politici e uomini d’affari citati nel libro, raccontano una realtà sconvolgente andata avanti per decenni in Francia. Si fa luce, ad esempio, sui rapporti tra l’ex presidente francese Nicolas Sarkozy e il suo entourage e gli emiri di Doha e Riad. Tra i personaggi più altisonanti citati per avere rapporti con i Paesi del Golfo, il sottosegretario di stato ai rapporti con il parlamento Jean-Marie Le Guen, del socialista Nicolas Bays, dell’ex ministro della Giustizia Rachida Dati, dell’ex primo ministro Dominique de Villepin, della centrista Nathalie Goulet (presidente del gruppo di amicizia Paesi del Golfo-Francia). All’ambasciata del Qatar a Parigi, definita dai giornalisti Chesnot e Malbrunot con prove inoppugnabili «un bancomat per politici», arrivavano richieste di ogni tipo: vacanze, biglietti aerei in first class, orologi Rolex, buoni acquisto nelle boutique, richieste di finanziamenti a fondazioni ma anche richieste per comprare auto lussuose, scarpe e borse.
Lecito pensare che chi avrebbe dovuto evitare la diffusione dell’Islam radicale abbia ammorbidito le sue posizioni per un capo firmato o per una vacanza? Difficile rispondere in maniera assoluta. Ciò che è certo che la crescita del fenomeno in Francia negli ultimi anni è un dato di fatto. E che a rendere la situazione tale hanno contribuito in modo sostanzioso i finanziamenti provenienti proprio dai Paesi del Golfo.
Stefano Piazza
Giornalista, attivo nel settore della sicurezza, collaboratore di Panorama e Libero Quotidiano. Autore di numerosi saggi. Esperto di Medio Oriente e terrorismo. Cura il blog personale Confessioni elvetiche.
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