Hong Kong, la bomba sulla strada del

La Repubblica Popolare Cinese (RPC) sta osservando le manifestazioni che si snodano per le strade di Hong Kong, dove ieri la leader Carrie Lam ha annunciato il ritiro della contestata legge sull’estradizione  e dove si sono incrociate culture e civiltà, common law e civil law, democrazia liberale e socialismo con caratteristiche cinesi e dove oggi tutte le istanze sembrano aggrovigliarsi e riannodarsi, in un insieme indifferenziato che proviamo a dipanare, in attesa di una soluzione che ancora oscilla tra epiloghi drammatici e speranze di una nuova era.

L’autonomia è stata concessa a Hong Kong dal 1° luglio 1997 per 50 anni, ed è stata più o meno garantita fino a oggi dal Governo di Pechino, dopo i complicati negoziati con la Corona britannica che portarono all’handover dopo 156 anni di domino colonialedurante i quali i cittadini di Hong Kong non avevano mai goduto pienamente dei diritti politici. La particolare autonomia di cui gode Hong Kong è prevista dalla Carta Costituzionale cinese che ha introdotto le SARs, una sorta di Regioni Amministrative Speciali, nel rispetto del principio “un Paese due sistemi”, in base al quale nella RPC sono presenti due strutture politico-istituzionali: quella socialista e quella capitalista. Per gli abitanti di Hong Kong è prevista infatti una forma di rappresentanza sostanzialmente democratica e multipartitica, tutelata da un sistema giudiziario indipendente, come disciplinato dalla Legge Fondamentale. La “Basic Law” ha assicurato il rispetto delle libertà fondamentali per cui è sempre stato possibile, ad esempio, commemorare il 4 giugno di ogni anno l’eccidio di Tiananmen presso il Victoria Park, nel centro di Hong Kong.

Fig. 1 – Hong Kong durante il dodicesimo fine settimana di proteste24-25 agosto 2019

Il principio in base al quale in un unico Stato possono convivere due sistemi fu ideato da Deng Xiaoping, che riteneva il Porto dei Profumi non solo un hub finanziario indispensabile cui ancorare la riforma economica, ma anche un modello sociale da studiare perché capace di conciliare un sistema economico libero con la certezza del diritto, unite a un’elevata qualità dei servizi e delle infrastrutture. Questo sistema, d’altro canto, ha permesso a Hong Kong di mantenere intatte le sue peculiarità godendo del maggior grado di apertura al mondo, con un basso livello di tassazione e la quasi totale mancanza di dazi, che ne hanno fatto un centro strategico di accesso ai mercati mondiali. Questa situazione ha subito il primo contraccolpo nel 2014, quando il Comitato permanente della XII Assemblea Popolare nazionale abrogò il sistema elettorale previgente, riducendo il suffragio universale attraverso la limitazione dell’elettorato passivo a una lista ristretta scelta da un Comitato di Designazione.

Fig. 2 – Le celebrazioni per i vent’anni del ritorno di Hong Kong alla Cina, durante le quali Pechino ha dichiarato che il documento con cui si è sancito il ritorno di Hong Kong secondo il principio “Un Paese, due Sistemi”non è più pertinente

Dal settembre al dicembre 2014 la popolazione scese in piazza, veicolando le richieste di compiuta democrazia e il rispetto dei diritti fondamentali. Come risposta a queste manifestazioni battezzate Rivoluzione degli ombrelli – rigorosamente gialli e aperti, – nel 2015, mentre il Consiglio Legislativo di Hong Kong respingeva la riforma cinese, le successive elezioni, con un sistema farraginoso e diretto dal Governo centrale, assegnarono la vittoria a una candidata gradita al Partito comunista. Il succedersi di fatti inquietanti come la sparizione di alcuni editori e la condanna di alcuni giovani, tra i quali i fondatori del partito ispirato alla democrazia ateniese, Demosisto (di nuovo arrestati in questi giorni e rilasciati su cauzione), ha negli ultimi anni causato tra la gente di Hong Kong sempre maggiori preoccupazioni, esplose in occasione della presentazione di un emendamento alla legge sulle estradizioni. Formalmente non viene contemplata la possibilità di estradare per reati politici, ma sostanzialmente il rischio di un utilizzo distorto della norma, che potrebbe permettere alle autorità della RPC di ottenere il rimpatrio di eventuali dissidenti riparati a Hong Kong, ha innescato la miccia che ha fatto esplodere vivacissime proteste. Le manifestazioni oceaniche che hanno bloccato le attività del Porto dei Profumi e persino l’aeroporto e il Parlamento, accompagnate da disordini e scontri anche molto violenti con le forze dell’ordine e l’intervento dei fiocchi bianchi degli intellettuali, sono debordate in una protesta generalizzata di giovani e meno giovani vestiti di nero e mascherati (per evitare le identificazioni biometriche).

Alla fine il Governo di Carrie Lam è stato costretto a ritirare ufficialmente il controverso emendamento sulle estradizioni, ma la tensione resta alta e ora i manifestanti sembrano volere strappare nuove concessioni, incluso il suffragio universale per tutti i cittadini di Hong Kong.

Fig. 3 – Joshua Wong e Agnes Chow, fondatori del partito Demosisto, nuovamente arrestati e rilasciati dalle autorità cittadine nei giorni scorsi

Il Governo cinese si è schierato a supporto del Governo locale e della sua leader, Carrie Lam, per contrastare gli effetti farfalla che ogni scelta su Hong Kong potrebbe produrre all’esterno, in particolare nei rapporti con Macao, Taiwan, Tibet, Xinjiang e Mongolia interna. La leadership di Pechino non ha esitato a dipingere, attraverso i propri mezzi di comunicazione, i giovani manifestanti come dei terroristi che non amano la propria città, né tantomeno la Cina. Queste narrazioni sono finalizzate a “proteggere dalla violenza” la popolazione di Hong Kong, i cui giovani sono in balia dell’Occidente. L’intervento di Trump ha corroborato l’idea di unastrumentalizzazione americana delle proteste, a loro volta reinterpretate surrettiziamente sui social: Facebook e Twitter hanno denunciato l’apertura sul territorio della RPC di un numero incredibile di profili fittizi, adoperati per screditare ampiamente le manifestazioni degli ultimi mesi, che non hanno capi riconosciuti e che vengono organizzate tramite Telegram.

Fig. 4 – Manifestanti a Hong Kong con le bandiere dell’ex colonizzatore britannico. Una scelta simbolica e mediatica che ha fatto infuriare il Governo di Pechino

Le dinamiche che si stanno intrecciando a Hong Kong sono complicate. Da un lato il conto alla rovescia per il 2047 riempie gli abitanti del Porto dei Profumi di inquietudini, per il timore di perdere i diritti acquisiti durante la lunga colonizzazione, che ha comunque garantito l’habeas corpus, presidio della libertà individuale contro ogni forma di arbitrio che i cittadini vedono impallidire lentamente, subendo forme di controllo sempre più stringenti. L’ampiezza e la risonanza internazionale delle manifestazioni nella città fanno necessariamente tornare alla mente le proteste di piazza Tiananmen di 30 anni fa e i drammatici esiti che le recenti commemorazioni per la morte di Lì Peng hanno reso ancora più tragici. La presenza dell’esercito ai confini di Hong Kong e i movimenti di truppe notturni, definiti di routine, rappresentano infatti una minaccia sempre più grave che non è stata accompagnata da reazioni internazionali ferme, probabilmente per il sempre più importante ruolo economico svolto nel mondo globalizzato dalla RPC.

Fig. 5 – Un manifestante riposa sulla strada dopo nuovi scontri con la polizia, 24 agosto 2019. Le manifestazioni iniziate nel giugno 2019 continuano senza sosta in tutta Hong Kong

D’altro canto il dominio occidentale ha rappresentato, qui come altrove, una cicatrice per i popoli colonizzati, che leggono i fatti attraverso quello che un intellettuale di Singapore, Kishore Mahbubani, ha definito il “cellophane del colonialismo”, che ha avvolto civiltà millenarie, innescando dinamiche di forte rivalsa.  Il successo delle manifestazioni svoltesi per le strade di Hong Kong a favore del Governo della RPC, che ha saputo risorgere dalle umiliazioni patite e che si picca di definirsi “Paese in via di sviluppo”, possono essere lette in questa ottica. A queste considerazioni si aggiunge la rinnovata importanza che l’ideologia confuciana riveste nel nuovo corso inaugurato da Xi Jinping che ha contribuito a sdoganare, dopo la parentesi maoista, il pensiero classico e i suoi pilastri, tra i quali riveste un ruolo fondamentale l’armonia, più volte richiamata dalla vigente costituzione cinese, che molti ritengono minacciata dai disordini che si protraggono ormai da settimane.

Fig. 6 – Veglia a lume di candela a Hong Kong presso il Victoria Park per il 30° anniversario della strage di Piazza Tiananmen4 giugno 2019

Un ulteriore elemento che complica lo scenario di Hong Kong è rappresentato dall’ambizioso progetto della Great Bay Area (GBA) che, oltre Hong Kong, comprende Shenzhen, Guangzhou e altre nove città, con un’economia del valore stimato di 1.400 miliardi di dollari USA – maggiore dei PIL combinati di Russia, Australia, Messico, Indonesia e Svizzera – nonché una popolazione di 68 milioni di abitanti. La strategia di Pechino ha tratteggiato i confini di questa nuova Silicon Valley, comprendendo in essa Hong Kong, al fine di limitarne progressivamente l’influenza. La GBA, cresciuta vorticosamente, necessita di una forte stabilità, indispensabile per inglobare definitivamente Hong Kong nell’assetto politico ed istituzionale della RPC, per sostenere la guerra dei dazi con gli Stati Uniti e stare al passo col sempre più difficile confronto tecnologico.

Fig. 7 – Un uomo scatta una foto di fronte a un cartellone pubblicitario con l’immagine di Deng Xiaoping a Shenzhen. Il Governo cinese punta specialmente su questa città per creare una nuova Silicon Valley

Lo scopo che il Dragone si prefigge è quello di raggiungere l’ambizioso obiettivo di divenire la prima potenza mondiale per realizzare il “sogno cinese”, fatto di retaggi storici propri di una civiltà plurimillenaria, ma anche di rivalse politiche, dopo secoli di umiliazioni e di soluzioni sociali indispensabili in un Paese che è passato in pochi anni dall’egualitarismo più rigoroso a una spiccata polarizzazione della ricchezza. Sicuramente questo sogno potrà affascinare con un rinnovato soft power solo nella misura in cui riuscirà a delineare un modello alternativo credibile, in cui i principi che hanno permesso alla Cina di risollevarsi e di riacquistare la propria dignità, radicati in 5mila anni di storia, si coniughino con i diritti fondamentali e le libertà, che le periferie dell’impero hanno conosciuto e che non intendono perdere. D’altro canto i giovani “Hong Kongers” potranno ottenere almeno parte dei risultati sperati se saranno come l’acqua, ma non in riferimento a Bruce Lee, quanto alla millenaria saggezza cinese che può puntare sulla conoscenza fondata sull’intermediazione attraverso il dialogo pacifico, per poter sognare il nuovo “sogno cinese”. La vera sfida è questa. Riuscirà il Governo di Pechino a tener conto di queste istanze e riusciranno i giovani manifestanti a fungere da lievito senza far fermentare tutta la pasta?

Elisabetta Esposito Martino, Il Caffè Geopolitico