Il voto in Iran con la metà dei candidati falcidiata

Venerdì 21 febbraio in Iran si va alle urne per rinnovare l’Assemblea consultiva islamica. Ma il 50% di chi puntava a essere eletto è stato “sterilizzato” da una massiccia invalidazione. Quasi la totalità dei riformisti. Ecco perché il confronto è tra conservatori e ultraconservatori. E vari oppositori invitano ad astenersi in segno di boicottaggio.

In Iran si vota il 21 febbraio. Venerdì: giorno di festa e preghiera nell’islam. Dalla Rivoluzione del 1979, sono le 11esime elezioni per il Majles-e Shura-ye Eslami: l’Assemblea consultiva islamica, una camera bassa con 290 eletti dal popolo. Il presidente deve invece essere eletto nel 2021, e addirittura nel 2024 il Majles-e-Khobregan, l’Assemblea degli esperti: una camera alta di 88 membri che devono essere tutti giuristi islamici, e che dura per otto anni.

TRA CRISI ECONOMICA E TENSIONI CON GLI USA

Una grave crisi economica, con l’aumento del 33% dei prezzi del carburante, a partire dal 15 novembre 2019 ha portato in piazza in Iran almeno 200 mila persone. Ne è seguita una repressione che ha fatto almeno 1.500 morti, 4.900 feriti e 7 mila arresti. Collegata a questa crisi è la rottura dell’accordo sul nucleare, da parte di Donald Trump. Una ricaduta di questa situazione è stata la mini-guerra che ha visto prima un attacco mirato Usa uccidere in Iraq il generale Qasem Soleimani, comandate della “Brigata Santa” forza di élite delle Guardie della Rivoluzione; poi l’Iran rispondere con il lancio di missili contro due basi Usa, pure in Iraq, e infine l’abbattimento del volo della Ukraine International Airlines 752, con 176 vittime. Un errore la cui ammissione è costata un duro scontro nelle sfere del potere di Teheran.

CASSATI 7 MILA CANDIDATI SU 14 MILA

In una dialettica politica normale, eventi del genere avrebbero potuto avere un ruolo importante per determinare il risultato. Ma in Iran ogni possibile ricaduta è stata “sterilizzata” in anticipo attraverso una massiccia invalidazione di candidati: 7.296, pari al 50,5% dei 14.444 che si erano registrati. Tra di loro, la quasi totalità dei riformisti. Tra i cassati anche 92 dei deputati uscenti. Nel 2016 la galassia di riformisti, centristi conservatori moderati aveva ottenuto all’incirca il 41% dei seggi contro un 29% di ultraconservatori e un 28% di indipendenti. Ma con questa falcidia in pratica il confronto potrà essere solo tra i due schieramenti che gli osservatori occidentali definiscono genericamente “conservatori” e “ultraconservatori”. Punto di riferimento dei primi è considerato l’ex sindaco di Teheran Mohammad Bagher Ghalibaf, che si definisce «tecnocrate». Programma dei secondi è soprattutto l’opposizione all’accordo sul nucleare.

SEGGI ALLE MINORANZE RELIGIOSE E BALLOTTAGGI

Non c’è voto di lista. Cinque seggi sono assegnati alle minoranze religiose riconosciute: ebreizoroastrianicristiani assiricristiani armeni del Nord, cristiani armeni del Sud. Per gli altri il complesso sistema elettorale prevede 196 collegi: alcuni uninominali; altri oligonominali. Nei collegi uninominali è eletto il candidato che arriva primo se ha almeno il 25% dei voti, se no si va a un ballottaggio tra i due più votati. Nei collegi oligonominali gli elettori possono dare tante preferenze quanti sono i seggi da assegnare, e sono subito eletti tutti i candidati che ricevano almeno il 25%. Se no si va al ballottaggio tra un numero di candidati doppio a quello dei seggi da assegnare. Se non ce ne sono, si considera valido il risultato del primo turno. La data del ballottaggio non è ancora stata fissata, ma potrebbe essere a aprile.

RIGIDI CRITERI PER INVALIDARE GLI ASPIRANTI DEPUTATI

Per votare, bisogna essere cittadini, avere 18 anni e non essere stati dichiarati incapaci di intendere e di volere. Ma un candidato deve inoltre dimostrare di essere un musulmano praticante: a meno di non voler concorrere per uno dei cinque seggi delle minoranze. E poi bisogna dichiarare la propria fedeltà alla Costituzione, essere alfabeti, «essere in buona salute», avere una età tra i 30 e i 75 anni, non avere una «cattiva reputazione». Una candidatura può essere cassata anche per aver sostenuto in passato lo Scià o partiti e organizzazioni politiche dichiarati illegali; per essere stato accusato di attività anti-governativa; per essere stato dichiarato colpevole di corruzione, tradimento, frode, malversazione, consumo o spaccio di stupefacenti, e anche di aver violato la Sharia. Criteri tali da permettere di invalidare più di metà dei candidati.

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SULLE LEGGI DECIDE COMUNQUE IL CORANO

Bisogna inoltre ricordare che in linea di principio il sistema della Repubblica islamica riconosce la sovranità popolare nel solo esecutivo: e anche lì solo fino a quando, in base alla dottrina sciita, il Mahdi non uscirà dalla caverna in cui è nascosto, per stabilire il Regno di Allah sulla Terra. In campo legislativo la Sharia ha già stabilito i principi fondamentali in campo penalecivile ed economico. Per questo l’Assemblea è detta “consultiva”. I deputati possono pure votare qualche legge, ma c’è poi l’Assemblea degli esperti a verificare se queste leggi sono conformi al Corano. Se decide di no, le boccia senza possibilità di appello.

IL VERO CAPO DELLO STATO È IL RAHBAR

Allo stesso modo il presidente della Repubblica è pure eletto dal popolo a suffragio diretto, ma non è di fatto che un capo di governo, e anche debole. In realtà è il Rahbar (leader), noto anche come Vali-e-Faqih (Giurisperito Guardiano), il vero capo dello Stato. Colui che ha il compito di vegliare sulla condotta morale e politica di tutti gli uomini pubblici, compreso il presidente. Significativamente, è sempre lui che ha il comando diretto dei corpi armati dello Stato. Il leader è eletto a vita dall’Assemblea degli esperti, e poi sceglie parte direttamente e parte indirettamente i membri del Consiglio guardiano della Costituzione: Shūra-ye negahbān-e qānūn-e āsāsī. Composto da sei giuristi religiosi e sei laici, questo Consiglio ha appunto potere di veto sui candidati, così come l’Assemblea degli esperti lo ha sulle leggi.

POSSIBILE UNA FORTE ASTENSIONE PER PROTESTA

Proprio per via di questa invalidazione massiccia di candidati, vari oppositori chiedono di boicottare il voto. Tra loro l’attivista per i diritti umani Narges Mohammadi, che ha rivolto il suo appello dal carcere di Evin. Una agenzia demoscopica organizzata da studenti critici ha reso noto un sondaggio secondo il quale nella provincia di Teheran il 44% degli elettori avrebbe manifestato la volontà di astenersi, contro solo un 21% che vuole votare. Ovviamente non sono rilevazioni fatte con l’accuratezza che potrebbe esserci in Europa. Ma alla fine il tasso di partecipazione potrebbe essere più importante dei meri risultati. Il presidente Hassan Rohani, che si considera un centrista, critica anche lui il fatto che il Consiglio abbia bocciato candidati in massa. Spiega però che proprio una forte affluenza servirebbe a controbattere lo strapotere degli ultraconservatori. La risposta del portavoce del Consiglio guardiano Abbas-Ali Kadkhodaei è stata questa: «La nostra responsabilità è di garantire il corretto svolgimento delle elezioni. Che la gente voti in massa non ci riguarda».

An Iranian woman walks past electoral posters and fliers during the last day of election campaigning in the capital Tehran, on 19 February 2020 (AFP)

Pubblicato su Lettera 43