Il vertice europeo che si è svolto a settembre è stato totalmente improduttivo per la gestione interna dell’immigrazione. In particolare, l’Italia si è trovata ancora isolata al tavolo dei negoziati. Restano lontane anche le posizioni su Brexit dopo più di due anni dal referendum.

1. IL DOSSIER IMMIGRAZIONE

La questione dell’immigrazione è ormai diventata centrale nel dibattito pubblico di ogni Paese europeo. Nel corso del summit di Salisburgo del 19 e 20 settembre il Consiglio europeo è apparso infatti diviso e frammentato, non essendo riuscito a ottenere risultati concreti. Tuttavia, in Europa i migranti irregolari si sono ridotti in maniera sostanziale: in Italia, ad esempio, nel 2018 ne sono transitati circa 18mila tra gennaio e agosto, rispetto ai quasi 100mila dell’anno precedente. L’Italia è appunto il primo Paese UE che, per collocazione geografica, viene investito della gestione dei flussi migratori provenienti dall’Africa subsahariana, che confluiscono verso la Libia, per poi infine attraversare il Mediterraneo centrale. Il premier italiano Conte ha richiesto quindi più risorse a Bruxelles da destinare al Nordafrica, in via del tutto analoga a quanto fatto con la Turchia.

Fig. 1 – Il premier italiano Giuseppe Conte

2. IL REGOLAMENTO DI DUBLINO

È rimasta centrale a Salisburgo, ma senza che si giungesse a risultati concreti, la controversia relativa al superamento e all’abrogazione del Regolamento di Dublino, che disciplina la gestione dei richiedenti asilo nei Paesi dell’UE. Secondo il Regolamento, lo Stato di prima accoglienza viene gravato dell’onere di esaminare tutte le richieste di asilo: Paesi come Italia e Grecia registrano infatti ogni anno un gran numero di richieste. Il presidente del consiglio Conte ha più volte ribadito la necessità di superare il criterio del Paese d’arrivo e di distinguere tra il Paese di approdo e il Paese competente a vagliare le domande di asilo. Tuttavia, il summit di Salisburgo non ha portato ad alcuna novità su questo fronte. Il cancelliere austriaco, nonché Presidente di turno del Consiglio dell’Unione europea, Sebastian Kurz, ha invece spinto per un ulteriore rafforzamento dei confini e delle frontiere esterne. La nuova strategia europea ha infatti previsto nel 2020 il potenziamento dei controlli ai confini. Tuttavia l’idea di modificare il Regolamento di Dublino ha generato perplessità fra i Paesi dell’Europa dell’Est che fanno parte del Gruppo di Visegrad, i quali non vedono di buon occhio il rafforzamento dell’Agenzia europea relativa ai controlli dei confini. Stati come Polonia, Repubblica Ceca e Ungheria preferirebbero infatti che i fondi venissero ripartiti tra i singoli Paesi.

Fig. 2 – Il cancelliere austriaco Sebastian Kurz

3. ANCORA NESSUN ACCORDO SULLA BREXIT

Nel vertice che si è invece tenuto a metà ottobre a Bruxelles, la questione dei negoziati sulla Brexit era un punto fondamentale dell’agenda. Donald Tusk, Presidente del Consiglio Europeo, al termine delle trattative post-Brexit ha annunciato pubblicamente che il cosiddetto piano Chequers non funzionerà. Il piano dovrebbe prevedere delle regole comuni fra Gran Bretagna e UE, eliminare dazi su importazioni ed esportazioni delle merci per avere una accordo doganale facilitato e senza barriere fra Irlanda e Irlanda del Nord e, nel contempo, consentire al Regno Unito di siglare accordi commerciali bilaterali con altri Paesi. Tale piano è stato ritenuto inaccettabile dagli altri membri europei, perché significherebbe la permanenza del Regno Unito all’interno di un sistema di regole comuni soltanto in alcune parti del mercato unico, con la creazione di un indebito vantaggio competitivo. Dall’altro lato, invece, i “falchi” della maggioranza conservatrice di Londra non vogliono che il confine con l’Irlanda del Nord rimanga “aperto”, circostanza che manterrebbe l’Ulster de facto all’interno del Mercato Unico. Il vertice del Consiglio europeo, conclusosi a Bruxelles il 19 ottobre, non ha apportato nessuna novità di rilievo sul piano delle trattative. Lo stallo negoziale è in particolare dovuto alla poco chiara posizione della premier britannica May, che non è ancora riuscita a trovare, all’interno del Partito conservatore, una sintesi tra le posizioni più ostili e quelle meno rigide nei confronti dell’UE.

Francesco Carrara


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