Torna a farsi sentire il fondamentalismo islamico proveniente dai Balcani e in particolare dal Kosovo, ritenuto non a torto una vera “fabbrica” di mujaheddin. Grazie al capillare lavoro di predicazione di imam come Rexhep Memishi, Shukri Aliu, Zeqirja Qazimi, Shefqet Krasniqi (più volte arrestato e particolarmente attivo in Svizzera), Mazllam Mazllami (molto attivo in Italia), Ridvan Haqif, Zekirja Qazimi, Ridvan Haqifi e molti altri, la filiera jihadista kosovara è diventata negli anni assai temibile.
Anche qui, come altrove, il “virus” salafita è stato diffuso in centinaia di moschee (più di 900) costruite in pochi anni grazie ai finanziamenti erogati da oblique fondazioni del Golfo Persico con i sauditi a fare la parte del leone. A peggiorare le cose ci hanno pensato la pesantissima crisi economica, l’aumento della disoccupazione (oggi a circa il 60%) e la conseguente mancanza di prospettive. Tutte componenti che, mischiate tra loro, hanno gettato nelle braccia dei predicatori del male centinaia di giovani, in particolare quelli che vivono lontano dai centri urbani.
La martellante propaganda salafita ha contribuito al poco edificante record di foreign fighters in rapporto alla popolazione (1,8 milioni di abitanti) detenuto dal Kosovo. Secondo il Kosovar Center for Security, sono 330 i combattenti kosovari partiti negli ultimi anni per Siria e Iraq, di cui 40 donne. Numeri che molti esperti ritengono troppo bassi vista l’impressionante efficacia mostrata nel “Siraq” dall’imponente “Brigata balcanica” comandata dal “macellaio dei Balcani” Lavdrim Muhaxheri, ex dipendente di una base NATO in Kosovo divenuto celebre per la ferocia mostrata e condivisa sui social network del Califfato.
Muhaxheri, che si faceva chiamare anche Abu Abdullah al Kosovi, si era trasferito in Siria nel 2012 per affiliarsi prima a Jabhat Fateh al-Sham e di seguito all’ISIS. Dopo molte “morti presunte” è stato ucciso da un drone USA nel 2017, ma il suo nome risuona ancora forte tra le moltissime cellule terroristiche islamiche del Kosovo visto che era riuscito nell’impresa di federare diverse formazioni jihadiste balcaniche composte da combattenti macedoni, albanesi, bosniaci oltre che da kosovari, molti dei quali provenienti dalla zona di Kacanik (piccola città del Kosovo al confine con la Macedonia, importante centro di reclutamento di jihadisti).
Per tornare alle ultime operazioni antiterrorismo, lo scorso mese di giugno è stato movimentato per le autorità kosovare che hanno sventato attentati contro le forze NATO (KFOR) presenti nella regione e la popolazione civile. Il 6 giugno scorso una 25enne kosovara e il suo convivente, un 26enne belga, sono stati fermati dopo che erano stati intercettati al telefono mentre parlavano di attacchi terroristici suicidi da condurre con autobombe nella capitale Pristina «in luoghi pubblici molto frequentati dalla popolazione». Ancora non è chiaro se fossero già pronti a colpire anche in Francia e in Belgio come emerso dalle loro telefonate. Sono in corso verifiche per accertare l’esistenza di una rete di complici, forse tra coloro che sono tornati dal “Siraq” e che non sono finiti in carcere.
Altri arresti si sono registrati alla fine di giugno questa volta tra Kosovo (Prizren e Skenderaj) e Germania (non è stato rivelato il luogo). In tutto le persone arrestate sono state quattro. Il comunicato della Polizia kosovara parla «della pianificazione di atti criminali contro l’ordine costituzionale e la sicurezza in Kosovo, atti legati al terrorismo». Nel blitz sono stati rinvenuti tutti gli strumenti utili a commettere atti terroristici: armi automatiche, munizioni, un’auto con targa tedesca, dispositivi elettronici e visori notturni.
Che il vento della jihad sia tornato a soffiare forte anche in Kosovo come nel resto dei Balcani lo si era capito già nel maggio scorso con l’arresto di otto uomini che avevano preparato nei minimi dettagli un attentato contro la nazionale di calcio israeliana in trasferta in Albania per le qualificazioni ai mondiali di calcio del 2018. I servizi segreti albanesi, allertati dal Mossad israeliano, avevano fermato il tentativo per tempo.
Stefano Piazza
Giornalista, attivo nel settore della sicurezza, collaboratore di Panorama e Libero Quotidiano. Autore di numerosi saggi. Esperto di Medio Oriente e terrorismo. Cura il blog personale Confessioni elvetiche.
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