Anche questo fine settimana ha visto grandi manifestazioni anti-governative ad Hong Kong, accompagnate da momenti di forte tensione con la polizia. La crisi politica iniziata circa tre mesi fa non accenna quindi a placarsi e molti cominciano seriamente a temere un intervento armato di Pechino contro i dimostranti.
Questi timori sono alimentati dalla presenza di unità anti-sommossa nella vicina Shenzhen, ufficialmente per “esercitazioni”, e dalla retorica sempre più aggressiva del Governo cinese contro i dimostranti, ormai denunciati apertamente come “terroristi” per la loro breve occupazione dell’aeroporto internazionale cittadino nei giorni scorsi. Alcuni analisti dubitano però che ci sarà una nuova Tiananmen nell’ex colonia britannica: una repressione sanguinosa delle proteste minerebbe infatti la credibilità internazionale del Governo cinese e provocherebbe gravi danni economici in un momento assai delicato per il gigante asiatico. Appare quindi più probabile l’adozione di una strategia flessibile contro i dimostranti, basata sul sostegno tattico-logistico alla polizia di Hong Kong e sulla mobilitazione di gruppi e organizzazioni locali favorevoli a Pechino. Inoltre i media cinesi hanno intensificato parecchio la propria copertura propagandistica delle proteste, nel tentativo di screditarle pubblicamente e di alimentare la rabbia del pubblico continentale contro l’anti-patriottismo dei manifestanti hongkonghesi.
Pechino sembrerebbe dunque prepararsi a un lungo confronto con le forze pro-democrazia della città, puntando a isolarle e a schiacciarle con mezzi non militari. Ma l’opzione armata resta comunque sul tavolo e nuove iniziative shock dei dimostranti, come la recente occupazione dell’aeroporto, potrebbero far precipitare la situazione. Ad aumentare il rischio c’è poi l’atteggiamento ambiguo dell’amministrazione Trump, che sembra voler intervenire a difesa dei manifestanti. Il Presidente USA ha segnalato con un tweet la propria disponibilità ad incontrare Xi Jinping per risolvere la crisi e ha minacciato anche sanzioni contro un’eventuale repressione armata delle manifestazioni. Ma questa difesa della democrazia locale non deve trarre in inganno: per Trump Hong Kong è soprattutto uno strumento per arrivare a una conclusione rapida e soddisfacente della propria guerra tariffaria con la Cina. Tale conflitto rischia infatti di diventare politicamente pericoloso per la Casa Bianca nei prossimi mesi, soprattutto a causa del crescente malcontento degli agricoltori del Midwest duramente colpiti dal blocco delle importazioni cinesi. Trump ha quindi bisogno di arrivare presto a un “deal” commerciale con Pechino e la crisi di Hong Kong può servire a raggiungere tale obiettivo . Ma il suo intervento maldestro potrebbe confermare i sospetti del Governo cinese sulle origini “straniere” delle proteste hongkonghesi e spingerlo a reprimerle con la forza prima che diventino una potenziale minaccia per la propria sovranità nazionale.
La situazione resta dunque molto fluida e complessa. Le prossime settimane saranno decisive per capire meglio la direzione delle proteste e le possibili azioni di Pechino contro di esse.
Di Simone Pelizza, Il Caffè Geopolitico
I love Hong Kong. We deserve democracy and freedom. How can Beijing blame us as Rioters? pic.twitter.com/V1vz6lRvJz
— Joshua Wong 黃之鋒 (@joshuawongcf) August 19, 2019
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