La piaga del virus cambierà la Cina?

Quattro mesi. Solo quattro mesi dividono le immagini spettacolari della parata del Settantesimo anniversario della Repubblica Popolare, da quelle tristi che oggi arrivano dalla Cina, da Pechino, da Wuhan, da Shangai, dalle altre megalopoli e dai villaggi del grande impero di Xi Jinping.

Soldati in file perfette e interminabili, carri armati e missili lungo il viale Chan’an, davanti alla Città Proibita. Dalla morte di Mao Zedong non si vedevano simili segni di culto della personalità: per lo stesso Mao politicamente resuscitato, e la sua reincarnazione del XXI secolo, Xi. Era l’esibizione di una potenza ormai emersa e sviluppata, orgogliosa, ambiziosa e fatalmente arrogante: una Via della Seta senza frontiere; isole improvvisamente emerse nel Mare per farne basi militari; colonizzazione sotto nuove forme del continente africano. Un’ansia da superpotenza sembrava aver chiuso in un museo decadente i “cinque principi della coesistenza”, le cautele internazionali di Deng e dei suoi successori. Anche la smodata reazione di Donald Trump al reale problema delle pratiche commerciali cinesi, era un’ammissione della forza di Pechino.

D’improvviso il quadro è cambiato. Niente soldati e contadini felici come nei manifesti del realismo socialista, ma cinesi veri in bianco e nero, con la mascherina in ospedali affollati. Non più iconografie false della propaganda, ma la realtà dignitosa e ordinata di un popolo che merita rispetto, simpatia e solidarietà.

E’ possibile che il sacrificio di Li Wenliang possa fare quello che la protesta di piazza Tienanmen non fece: cambiare la Cina? Il giovane medico di Wuhan aveva denunciato l’apparire del coronavirus. E’ stato perseguitato dal partito, licenziato e poi riammesso a furor di popolo come eroe. E’ morto in corsia mentre cercava di guarire i suoi pazienti. Forse è anche per lui che il partito ha abbattuto la censura e imposto una trasparenza che non fa parte del suo bagaglio ideologico.

Non sono giorni fortunati per le visioni neo-imperiali del presidente Xi. Celebrava il settantesimo della Repubblica Popolare dalla porta della Pace Celeste, vestito con una Zhongshan, la giacca di Mao, mentre a Hong Kong chiedevano democrazia e indipendenza. Il 2020 era appena incominciato che a Taiwan Tsai Ing-wen, la presidente indipendentista uscente, rivinceva le elezioni 57% a 38 sul candidato del Kuomingtang, favorevole all’appeasement con la Cina continentale. Poi la tragedia del coronavirus.

Di nuovo. L’imprevedibile piaga del virus cambierà la Cina? Di fronte a qualcosa di così inaspettato, estraneo ai programmi degli uomini, potrebbe spingere Xi ad ammettere l’esistenza di un grande e prospero Commonwealth cinese nel quale Hong Kong e Taiwan siano il Canada e l’Australia di Pechino.

E’ il mio vecchio spirito liberale a rendermi così ingenuo. Di sinistra o di destra che sia, nelle difficoltà il liberale vede sempre il bicchiere mezzo pieno. Il coronavirus non cambierà il potere cinese. Però ha reso i cinesi più umani, fragili e dunque finalmente simpatici.

 

Visita a sorpresa del presidente della Repubblica Sergio Mattarella all’Istituto comprensivo statale «Daniele Manin», scuola del quartiere Esquilino, a Roma, caratterizzata dalla presenza di alunni di diverse etnie

Questo riguardo ai cittadini della Repubblica Cinese. Poi ci sono gli italiani di origine cinese e i cinesi immigrati che lavorano o studiano in Italia ma che mantengono la loro cittadinanza originale. Gli italiani uguali a me, con gli stessi diritti e uguali doveri, sono 300mila: italiani e basta.

Forse non c’era nulla di male che tre presidenti di regione, al Nord, decidessero di mettere in quarantena gli studenti cinesi. Ma i tre presidenti erano leghisti. Nessun’altra regione guidata, per esempio, da un democratico o uno di Forza Italia l’ha fatto. Solo loro e dopo che Matteo Salvini aveva tentato di cavalcare gli untori cinesi, ultimi arrivati dietro a musulmani e africani.

La cosa non è andata avanti. L’ex ministro degli Interni si è accorto che i cinesi non funzionavano così bene come gli altri, ed è tornato all’usato sicuro dell’invasione dei profughi dalla Libia. Come a volte accade quando un politico non soppesa ciò che dice, si è diffuso lo sgradevole paragone: cinesi uguale virus. Per fortuna abbiamo un Presidente della Repubblica più che degno del ruolo che ricopre. Il minimo che possiamo fare per imitare Mattarella e dare il nostro sostegno ai cinesi italiani o ospiti del nostro paese, è sederci a un ristorante cinese e usare i bastoncini alla faccia del virus.

Pubblicato su Slow news, blog de Il Sole 24 Ore