La presunta morte di Hamza bin Laden

Diverse fonti dell’intelligence statunitense, coperte da anonimato, la settimana scorsa avevano dato per certa la morte di Hamza bin Laden, figlio dell’ex leader di al Qaeda, Osama bin Laden. La notizia, data inizialmente da Nbc, era stata confermata dal New York Times. Secondo le indiscrezioni circolate pochi giorni fa e diffuse dai media internazionali, gli Stati Uniti avrebbero svolto un ruolo di primo piano nell’operazione che ha portato alla morte del trentenne, figura più in vista tra i membri di al Qaeda. Mancano ancora conferme ufficiali da parte del governo americano e i dettagli dell’operazione che avrebbe ucciso Hamza bin Laden non sono state ancora diffuse. Di lui si sapeva, fino a gennaio 2019, che si trovasse nella provincia di Kunar, al confine tra l’Afghanistan e il Pakistan.

Di solito, le notizie della scomparsa di figure così rilevanti per il jihadismo internazionale tendono ad essere nascoste dai vertici delle organizzazioni. Tuttavia, davanti all’evidenza dei fatti, le organizzazioni jihadiste ammettono poi tali dipartite. Valerio Mazzoni, analista specializzato nel monitoraggio online di canali jihadisti per IFI Advisory, spiega che con la morte di Hamza bin Laden al Qaeda potrebbe veder nascere nuovi problemi interni tra i suoi clan e aggiunge: «Se le notizie sulla questa presunta morte fossero confermate, le capacità operative di al Qaeda rimarrebbero pressoché invariate, ma è innegabile che il gruppo potrebbe aver subito un grave danno di immagine. La morte di Hamza bin Laden, in tal caso, potrebbe trovare un riscontro mediatico sia da parte di al Qaeda che da parte delle sue filiali, che potrebbero utilizzare a proprio vantaggio la notizia per dare ulteriore impeto alla loro narrativa e per mostrare la coesione ideologica tra i differenti branch regionali del gruppo».

Il figlio di Osama bin Laden aveva spesso evocato gli attacchi perpetrati dal padre, minacciando una nuova ondata di atti di terrore contro l’Occidente. Nel mese di agosto del 2015 Hamza bin Laden fu presentato nel suo primo audio-messaggio come il Leone dal Din. Nelle registrazioni successive diffuse negli ultimi anni, nonostante fosse così giovane, veniva indicato come “al Sheikh”, un riconoscimento riservato solo alle figure più autorevoli dell’organizzazione.  «La comunità di esperti sul terrorismo jihadista – continua Mazzoni – è sempre stata divisa sull’effettiva importanza rivestita da Hamza bin Laden all’interno dell’organizzazione. Sebbene fosse troppo giovane per assumere almeno a breve termine il ruolo di guida di al Qaeda, è innegabile che ricoprisse un ruolo di primo piano dal punto di vista mediatico». «La figura di Hamza bin Laden visti i suoi natali, era anche sfruttata per rilanciare il brand di al Qaeda nella penisola arabica, ultimamente messo in secondo piano a causa della nazionalità della sua attuale leadership, per lo più giordani ed egiziani. Hamza bin Laden, inoltre, era una delle poche personalità ai vertici di al Qaeda a non essere stata mai criticata dallo Stato Islamico, in un momento in cui le due organizzazioni tendono ad aggredirsi sia operativamente che mediaticamente. Con Hamza bin Laden il gruppo aveva dato nuovo vigore alla retorica di colpire il nemico lontano. Una strategia che negli ultimi anni al Qaeda aveva abbandonato, privilegiando quella del colpire il nemico vicino, vale a dire i regimi apostati che avrebbero tradito i precetti dell’Islam».

La morte delle figure chiave del jihadismo internazionale sono sempre molto difficili da cofermare perché riguardano informazioni altamente sensibili e soggetti che si muovono in condizioni di clandestinità. «La morte del Mullah Omar, storico leader dell’Emirato Islamico dell’Afghanistan, fu scoperta solo nel 2015, nonostante fosse avvenuta due anni prima. In quel caso, i vertici dei Taliban nascosero la notizia per evitare scontri interni. Più di recente, nel novembre 2018, il governo di Parigi aveva confermato la morte di un leader i JNIM, Amadou Koufa, avvenuta a seguito di un’operazione antiterrorismo condotta nel nord del Mali. Nel febbraio del 2019, invece, Amadou Koufa è apparso in un video e ha definito i francesi dei bugiardi per aver mentito in merito alla sua morte», conclude Mazzoni.