La rivoluzione sociale del Libano

Le Nazioni Unite hanno espresso preoccupazione per il numero crescente di scontri ed episodi di violenza che si sono verificati negli ultimi giorni in Libano tra manifestanti e forze di sicurezza. L’Onu ha chiesto agli attori coinvolti nella crisi di impegnarsi a favore della de-escalation e del dialogo, dopo che l’annuncio della formazione di un nuovo governo non è stato sufficiente a fermare le proteste che da mesi interessano il paese dei cedri.

All’indomani della nascita dell’esecutivo, guidato dal premier Hassan Diab e sostenuto da Hezbollah, si sono verificati nuovi scontri tra manifestanti e forze di polizia, stavolta nei pressi della sede del Parlamento di Beirut. I dimostranti hanno lanciato pietre e petardi contro le forze di sicurezza e hanno tentato di sfondare le barriere di filo spintano poste a protezione dell’entrata del Parlamento. A detta dell’Onu, le forze di sicurezza hanno risposto in modo sproporzionato. L’ultimo bilancio, secondo i numeri diffusi dalla Croce Rossa libanese, è di 86 feriti, come riferisce il portale di notizie Naharnet. Quattordici di questi sono stati trasferiti in ospedale e 72 sono stati soccorsi sul posto.

Il governo di Hassan Diab, a cui spetta il difficile compito di risollevare il paese da una grave crisi economica, dovrebbe porre fine a mesi di stallo politico. Ma il suo esecutivo non accontenta i manifestanti che da mesi invadono le strade perché venga allontanata la vecchia classe politica, ritenuta responsabile, secondo le piazze, della endemica corruzione e dei gravi problemi economici del Libano. I cittadini libanesi hanno preso di nuovo il possesso delle strade e con tali manifestazioni intendono dimostrare la loro contrarietà a un governo che non risponde alle loro richieste. Secono i manifestanti, i nuovi ministri, definiti da Diab degli “specialisti”, sono espressione della stessa élite politica del passato, contro cui si protesta da mesi. I manifestanti condannano lo status quo, che dalla fine della guerra civile, ha riciclato sempre le stesse persone e i loro diretti discendenti, confermandoli al potere.

Embed from Getty Images

Hassan Diab aveva ricevuto l’incarico lo scorso 19 dicembre in seguito alla resa del premier Saad Hariri. A fine ottobre Hariri aveva presentato le dimissioni al capo dello Stato Michel Aoun perché incapace di risolvere la crisi che ha investito la classe politica. «Questo è un governo che rappresenta le aspirazioni dei manifestanti che si sono mobilitati in tutto il paese per più di tre mesi e che lavorerà per soddisfare le loro richieste», ha dichiarato Hassan Diab nel tentativo di guadagnare consenso. “Il governo è composto principalmente da consiglieri e figure che rappresentano l’oligarchia e partiti alleati con Hezbollah”, ha scritto Paul Salem, presidente del Middle East Institute, come riferisce BBC.  “L’esecutivo non ha alcuna indipendenza politica e continuerà ad operare come una sorta di ombra di quelle quattro o cinque persone avvinghiate al potere”, ha aggiunto l’analista. Secondo il sistema politico libanese, che dovrebbe garantire la rappresentanza delle varie componenti religiose, il presidente deve essere un cristiano, il presidente del Parlamento uno sciita e il primo ministro un sunnita. La candidatura di Diab è stata voluta dalle maggiori formazioni sciite, Hezbollah e Amal, e dal presidente Michel Aoun, ma non gode dell’appoggio dei sunniti.

Già a novembre, secondo l’agenzia Reuters, ci sono stati scontri tra i dimostranti antigovernativi e sostenitori dei gruppi sciiti Hezbollah e Amal nella capitale libanese. In quell’occassione i manifestanti avevano bloccato il ponte principale della città. Le forze di sicurezza avevano usato gas lacrimogeni per disperdere le persone, stando ai servizi andati in onda su tre diverse tv locali. Per le stade si sono riversati i sostenitori di Hezbollah e Amal che intonavano slogan in supporto del leader Sayyed Hassan Nasrallah. Dall’altro lato, c’erano i manifestanti che urlvano: «Rivoluzione, rivoluzione!». Gli scontri di novembre a Beirut erano successivi a un attacco da parte degli sciiti a uno dei maggiori campi dei manifetanti allestito nel centro della capitale. Fino a quel momento le proteste erano state per la maggior parte pacifiche. Hezbollah e Amal erano entrambi rappresentati nel governo di coalizione guidato dal primo ministro Saad al-Hariri. Quando ad ottobre Hariri aveva annunciato le dimissioni Hezbollah si era opposto, avvertendo del rischio di un grave vuoto politico che sarebbe derivato da quella decisione.

Il Libano sta vivendo la peggiore crisi economica dalla fine della guerra civile. Il debito pubblico è pari a circa 77 miliardi di euro, vale a dire al 150 per cento del prodotto interno lordo. Il deficit corrisponde al 9 per cento del PIL e il valore della moneta è crollato. Inoltre, il paese paga moltissimo per le conseguenze della guerra in Siria, almeno un milione sono i rifugiati siriani fuggiti in Libano. Il governo non riesce neanche a garantire i servizi essenziali come elettricità e acqua, la cui fornitura è spesso interrotta, e la raccolta dei rifiuti.

Versione aggiornata di un articolo precedentemente pubblicato su Il Mattino

PHOTO: AFP