La situazione dei profughi siriani in Libano è stata offuscata dalle recenti proteste esplose in tutto il Paese. Se da una parte il popolo libanese manifesta per richiedere un Governo capace di rispondere alle esigenze di un Paese ormai allo stremo delle forze, dall’altra la condizione dei rifugiati siriani si fa sempre più complessa e difficile.
OGNI VOLTA CHE PIOVE IN SIRIA, I LIBANESI DEVONO APRIRE I LORO OMBRELLI
Questo modo di dire non è solo una metafora, ma una realtà. Il Libano non è mai stato estraneo alla presenza dei siriani prima della guerra. Infatti i legami sia etnici che socioeconomici dei due Paesi sono stati sempre stretti e la separazione dovuta alla creazione di due Stati distinti è stata accompagnata da un lungo dibattito che contrapponeva chi voleva un distacco assoluto – principalmente cristiani e drusi – e chi supportava la creazione di una Grande Siria. Gli accordi siglati tra il Governo libanese e la Damasco durante l’occupazione (1990-2005) hanno favorito gli scambi economici e il libero movimento tra i due Paesi, tendenzialmente considerando la subordinazione del Libano alla Siria a vantaggio di quest’ultima. Dagli anni Novanta dunque questi accordi hanno permesso la migrazione stagionale di lavoratori siriani che hanno costituito una forza lavoro prevalentemente in settori come l’agricoltura e l’edilizia – la ricostruzione dello stesso centro di Beirut è frutto dell’intenso lavoro di operai e muratori siriani. In alcuni casi la migrazione stagionale e le relazioni intessute con i datori di lavoro hanno costituito un fattore importante per alcuni nuclei familiari, che, in seguito alla guerra, si sono trasferiti in Libano per sfuggire alla brutalità del regime di Bashar al-Asad.
LA GUERRA IN SIRIA E I PRIMI FLUSSI
I flussi migratori verso il Libano dovuti all’escalation della violenza in Siria hanno avuto diverse intensità e hanno seguito traiettorie ben precise. La prima ondata di rifugiati nel 2011 ha attraversato i confini di Qaa e Masnaa nella Valle della Beqa, e Wadi Khaled in Akkar. Dal 2012 i maggiori flussi provenienti dalle città di Homs, Quasayr, Hama, Zabadawi e le periferie di Damasco si sono diretti prevalentemente nella Valle della Beqa.
Se in un primo momento i libanesi hanno accolto i rifugiati siriani, in alcuni casi mettendo a disposizione le proprie case e cercando di aiutare per quanto possibile, si è assistito con il tempo a un’inversione di rotta e a un inasprimento generale nei loro confronti.
Per comprendere a fondo questo cambiamento è necessario fare un passo indietro e rileggere brevemente la storia del Paese. In primo luogo occorre capire le relazioni dello Stato libanese con i rifugiati, in seconda battuta si deve fare riferimento a una chiave di lettura che tenga conto delle relazioni di attaccamento-distacco dalla Siria.
DA SHORT-TERM A PROTRACTED REFUGEE CRISIS: DOVE NASCONO I TIMORI DEL POPOLO LIBANESE
Il Libano non è firmatario della Convenzione di Ginevra e in quanto tale non riconosce lo status di rifugiato. Eppure è il Paese al mondo con il maggiore numero di rifugiati per densità di popolazione, in quanto ospita palestinesi, presenti sul territorio dal 1948, siriani e altri di diversa provenienza.
L’esperienza palestinese ha influito notevolmente sulla storia libanese, generando un profondo sospetto e un assoluto pregiudizio verso i rifugiati stessi. L’attività dei palestinesi in Libano per continuare la lotta contro lo Stato occupante di Israele ha messo in serie difficoltà in certi casi il popolo libanese e il Governo stesso, che ha fatto i conti con una forza politica e miliziana all’interno del proprio territorio. La voluta esclusione dei palestinesi dalla vita socioeconomica ha reso i campi palestinesi autonomi e il risultato di questo processo è stato da parte dei libanesi una totale avversione verso ogni forma di rifugiato.
Il precedente palestinese ha sicuramente giocato un ruolo fondamentale nella gestione e nell’evoluzione della crisi siriana, ponendo il Governo e la popolazione davanti a timori e paure ancora presenti in una società scottata da una sanguinosa guerra civile.
La decisione di non erigere campi profughi ufficiali deriva dall’esperienza traumatica politica e sociale e dalla volontà di percepire la situazione come temporanea. La percezione della transitorietà è uno strumento molto efficace e forte nella lettura di una crisi ed è stato usato in politica per indirizzare negativamente le attitudini e i comportamenti della popolazione nei confronti dei rifugiati.
Approfondendo la relazione tra Libano e Siria si denota nella storia una certa tendenza per la quale il primo risulta subordinato alla seconda. Questa relazione di subordinazione è stata resa palese specialmente durante i quindici anni di occupazione siriana in Libano, durante i quali la politica siriana influenzava notevolmente quella libanese e la presenza dell’esercito siriano condizionava pesantemente la vita della popolazione. Questo controllo diretto, permesso dagli accordi di Ta’if, ha lasciato inevitabilmente delle ferite, con il popolo libanese che ha maturato una forte insofferenza nei confronti del regime siriano, facilmente identificabile, nel momento in cui le pressioni socioeconomiche si fanno più forti, con il popolo siriano stesso. La prossimità geografica ha giocato un ruolo fondamentale, ma non è la sola ad aver costituito un asse tra i due Paesi. Legami di natura etnica, familiare e lavorativa hanno infatti facilitato una rete di collegamenti che vanno aldilà di dinamiche economiche, influenzando anche, e soprattutto, le politiche.
Antea Enna, Pubblicato su Il Caffè Geopolitico
Antea Enna
Nata nel centro del Mediterraneo. Dopo l’università prima a Gorizia e poi a Milano, ha lavorato per organizzazioni non governative. Dottorato in Libano. Nella terra dei Cedri ha svolto volontariato con i rifugiati siriani e ricerche su vari temi prevalentemente legati ai micro e macro conflitti e alla situazione socioeconomica mediorientale.
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