Liberato dopo 15 mesi l'italiano Tacchetto rapito in Burkina Faso

L’italiano Luca Tacchetto e la canadese Edith Blais sono riusciti a liberarsi e a fuggire dopo 15 mesi di prigionia in Burkina Faso. L’architetto padovano è rientrato in Italia, la compagna è toranta in Canada. Le Nazioni Unite avevano confermato la loro liberazione sabato 14 marzo, liberazione avvenuta nel vicino Mali. A scriverlo era stato il New York Times. Edith Blais, del Quebec, e Luca Tacchetto, erano stati sequestrati nel dicembre 2018 in un’area del Burkina Faso nota per essere una roccaforte del gruppo terroristico Stato Islamico.

Atterrato in Italia, Tacchetto ha raccontato della prigionia ai pm romani e ai carabinieri del Ros. Il 31enne veneto ha affermato di essere stato sequestrato da «un gruppo che si è autodefinito jihadista vicino ad Al Qaeda». «Per come ci hanno trattati credo che fosse un gruppo esperto, abituato a gestire situazioni del genere», ha aggiunto. I sequestratori hanno detto a Tacchetto che in Italia c’erano dei problemi, senza parlare nello specifico dell’emeregenza conoravirus, e che a causa di questi problemi nessuno si sarebbe interessato a loro. Come scrive il Corriere della Sera, i sequestratori non avrebbero mai riferito a Tacchetto e alla fidanzata di trattative in corso con i governi italiano e canadese né del possibile pagamento di un riscatto. Durante la prigionia ci sono stati spostamenti continui, ha riferito lo stesso Tacchetto, e ai due ostaggi non sarebbe mancato il cibo, anche se poco. Tacchetto e la fidanzata hanno approfittato del fatto che i sequestratori li avevano lasciati soli e, anche se privati delle scarpe per non fuggire, si sono fasciati i piedi e si sono allontanati. Dopo aver camminato fino a un’autopista, i due sono saliti a bordo di un camion che li ha portati alla città di Kidal, nel nord del Mali. Secondo le informazioni dell’Aise, il servizio segreto per la sicurezza esterna, il sequestro sarebbe stato gestito dal gruppo JNIM (Al Qaeda’s Group for Support of Islam and Muslims).

La minaccia jihadista

JNIM a fine gennaio ha rivendicato una serie di attacchi nel Sahel relativi alle settimane precedenti. Tra questi attacchi anche due assalti alle basi militari maliane che hanno causato decine di morti tra i soldati.

Nell’area la minaccia jihadista è sempre maggiore e proviene da miliziani legati al sedicente Stato Islamico o ad al Qaeda, molto attivi nella regione del Sahel. L’onda di violenze che ha colpito Mali e Burkina Faso si è estesa al Niger attraverso i confini molto porosi che il Paese condivide con i due vicini e nonostante le truppe dispiegate dal 2015 nello sforzo di combattere il terrorismo. In questo momento il Niger è attaccato su due fronti. A sud-est, la regione di Diffa è colpita spesso dagli uomini della Provincia dello Stato Islamico dell’Africa Occidetale, che sono di base in Nigeria. Allo stesso tempo, i jihadisti di base in Mali, compresi alcuni affiliati ad al Qaeda, sono attivi nell’ovest del Niger e in generale nel Sahel, dove sono presenti molti altri gruppi armati. Uno di questi è appunto JNIM (Support Group for Islam and Muslims), che è nato nel marzo del 2017 da una serie di gruppi più piccoli, inclusi al-Qaeda in the Islamic Maghreb, Ansar Dine e al-Mourabitoun. La leadership di JNIM ha giurato fedeltà al capo di al Qaeda Ayman al-Zawahiri.