In Libia l’Italia è mosca cocchiera

La mosca cocchiera italiana ronza come impazzita tra Tripolitania e Cirenaica, amici, alleati, clienti turchi, egiziani ed emiratini, dal Golfo al Mediterraneo, senza avere una politica estera percepibile. Anche Usa, Francia e Germania sono impigliati nel groviglio libico mentre Erdogan e Putin pensano alle loro nuove basi sul Mediterraneo.

La Libia è il più grande imbroglio della politica internazionale, creato nel 2011 con i raid di Francia, Usa e Gran Bretagna per abbattere Gheddafi. Pochi ormai anche da noi sanno chi sono gli amici e i nemici. Tanto meno l’Italia che sostiene Al Sarraj a Tripoli, dove abbiamo un coraggioso ambasciatore, ma anche Khalifa Haftar, il generale della Cirenaica che appoggiamo indirettamente fornendo di armi all’Egitto, uno dei suoi principali alleati insieme a Russia ed Emirati.

Siamo come la mosca cocchiera della favola di La Fontaine, saltelliamo da una parte all’altra della carrozza e ci lamentiamo che nessuno ci ringrazi per il nostro gran lavoro, neppure gli alleati americani che un anno fa simpatizzavano per Haftar e adesso pendono dalla parte di Tripoli per controbilanciare la presenza dei russi.

Sullo sfondo, ma neppure troppo, si potrebbe profilare in Libia un patto alla “siriana” Erdogan-Putin per una base aerea turca a Watya, appena evacuata da Haftar, in cambio di una base russa a Sirte accompagnata anche da una navale.

Nel “grande gioco” libico c’è l’Eni che ha i suoi maggiori interessi in Tripolitania con il terminale di Mellitah e il gasdotto Greenstream quindi ha ottimi rapporti con i clan locali ma allo stesso tempo il capo dell’Eni De Scalzi ha buonissime relazioni con il principe dei Emirati Bin Zayed, uno dei maggiori sponsor e finanziatori di Haftar. Formidabili per ambiguità sono quelle con la Turchia di Erdogan che l’Italia e l’Eni devono maneggiare con cura: Ankara militarmente comanda a Tripoli e ha ottenuto da Sarraj una dichiarazione sul Mediterraneo orientale che potrebbe incidere negativamente sugli interessi dell’Eni a Cipro.

L’Italia, che si è appoggiata ai servizi turchi anche per la liberazione di Silvia Romano in Somalia, è talmente “accorta” che si è sfilata da tutte le più recenti dichiarazioni di condanna delle mire turche sui giacimenti offshore di gas e petrolio di Cipro, documenti firmati da tutti gli altri stati interessati. Insomma siamo diventati le mosche cocchiere di Erdogan che a Tripoli protegge i Fratelli Musulmani e usa i jihadisti siriani, circa 10mila uomini, per combattere contro Haftar.

Ma dobbiamo pure stare attenti al nostro contingente militare di guardia all’ospedale da campo di Misurata dove vengono curati pure i jihadisti filo-Sarraj, non solo le truppe “regolari” libiche. Noi si sa mai che qualche Mig russo in appoggio ad Haftar ci tiri addosso qualche “pillola”.

Siria e Libia sono da tempo guerre dei vasi comunicanti. Se Erdogan manda i suoi jihadisti amici di Al Qaida da Idlib in Siria a Tripoli di Libia, Haftar usa i mercenari reclutati dai russi della Compagnia Wagner e da Assad, cui adesso si sarebbero aggiunti anche mercenari filo-iraniani e contractors da ogni dove pagati dagli Emirati. E così tanto per compensare la situazione, come ci informa su il Manifesto Chiara Cruciati, abbiamo venduto navi Fincantieri ed elicotteri d’attacco Agusta di Leonardo al Cairo che protegge il generale. Una mossa rivelatrice del groviglio di interessi, tra forniture belliche e gas dell’Eni, che ci lega al generale Al Sisi, colui che si rifiuta da anni di dare indicazioni sui torturatori e gli assassini di Giulio Regeni.

E per la verità in Europa non siamo gli unici: quando si smorzerà il Covid-19 l’Unione europea dovrà fare i conti. La Germania non è meno ambigua dell’Italia e della Francia che con Grecia, Cipro ed Egitto, quando serve, appoggia Haftar in funzione anti-turca nel Mediterraneo orientale. Nonostante abbia aderito all’embargo sulle armi dando il suo ok alla missione navale europea Irini e si sia fatto promotore lo scorso gennaio a Berlino del vertice internazionale sulla Libia, il governo tedesco l’altro giorno ha ammesso che tra il 20 gennaio e il 3 maggio scorso ha venduto armi ai paesi coinvolti nella guerra in Libia per un valore di 331 milioni di dollari.

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Vendite bipartisan per non scontentare nessuno: sia all’Egitto (308,2 milioni di euro) e ai suoi alleati emiratini (7,7 milioni) che ai loro nemici turchi (15,1 milioni). Al di là dell’affettato pacifismo di maniera dei tedeschi, osservava Roberto Prinzi su il manifesto, la barbarie libica è anche “Made in Europe”, non solo turca, russa e araba. La Germania della signora Merkel aveva scippato all’Italia la conferenza convocata a Berlino proprio per attuare l’embargo: insomma i tedeschi sono persino più ipocriti e inaffidabili di noi.

L’imbroglio è cosi intricato che Russia e Turchia rilasciano dichiarazioni surreali, invocando un cessate il fuoco ma entrambe non sanno se gli conviene: magari Erdogan ce la fa a spingere Sarraj oltre la Tripolitania, o forse il declinante Haftar riesce con i Mig russi a distruggere i droni turchi e a stringere di nuovo d’assedio Tripoli.

L’unica soluzione forse praticabile ma assai rischiosa per la frammentazione del Paese è una federazione tra Tripolitania e Cirenaica – storicamente mai “unite” se non con la colonizzazione italiana, il regno di Idris e il regime di Gheddafi – che almeno provvisoriamente possa creare un po’ di ordine sulla Sponda Sud. E magari portare un briciolo di umanità per i migranti sospinti in mare dagli scafisti e lasciati morire dalla “flotta fantasma” di Malta come è accaduto a Pasqua. Anche per le stragi in mare ci vogliono ronzanti mosche cocchiere, come la Guardia costiera libica che ne ha appena riportati 300 dal mare diritti verso la detenzione arbitraria nei campi.

Pubblicato sul Manifesto