Come previsto, di fronte allo spettro dell’impeachment il 93enne presidente dello Zimbabwe Robert Mugabe alla fine ha ceduto e si è dimesso dalla carica di presidente. In sella dal 1980, quando le prime elezioni a suffragio universale lo elessero capo del governo dello Zimbabwe di cui assunse successivamente anche la carica di presidente, Mugabe ha pagato l’eccessiva personalizzazione del potere: tentando di far eleggere la moglie Grace a capo del partito e futuro presidente, ha incrinato il sempre più precario equilibrio interno alla ditttatura del paese africano, che si stava preparando a sostituirlo gradualmente.
Secondo quanto riferito dallo speaker della Camera Jacob Mudenda, una lettera consegnata al parlamento in cui il presidente storico affermava che la decisione è stata volontaria e che è stata presa per consentire un regolare trasferimento di potere, ha interrotto l’udienza plenaria che ne avrebbe decretato la messa in stato d’accusa. Evitando quest’onta al tramonto della carriera e della vita personale, Mugabe ha dunque evitato al paese giorni difficili. Nelle strade della capitale la gente è scesa in piazza per festeggiare. Ma chi gioisce più di tutti è Emmerson Mnangagwa, probabile prossimo candidato forte alla presidenza, sostenuto dai militari. Per Robert Mugabe e la moglie Grace, si prospetta un esilio forzato. Forse in Malesia o Singapore, dove la famiglia del dittatore possiede alcuni interessi.
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Rocco Bellantone
Caporedattore di Babilon, giornalista professionista, classe 1983. Collabora con le riviste Nigrizia e La Nuova Ecologia di Legambiente. Si occupa di Africa, immigrazione e ambiente.
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