E’ notizia dei giorni scorsi l’espulsione da parte della Grecia di 4 diplomatici russi accusati di alimentare il dissenso verso lo storico accordo con la Macedonia, in favore di una politica che veda tenuti in maggior considerazione gli interessi di Mosca nell’area.La battaglia politica si gioca intorno agli accordi per la ridefinizione del nome ufficiale della ex Repubblica Yugoslava di Macedonia.

 

 

La disputa verte intorno al concetto stesso di “Macedonia”: Atene ritiene che tale toponimo si debba applicare soltanto alla regione che storicamente è stata la culla dell’antico Regno dei Macedoni, quello di Alessandro Magno per intendersi IV sec a.C., e che oggi rientra quesi interamente nei confini della Grecia moderna. Una questione sul nome che sembra di poco conto ma che di fatto ha influenzato in maniera decisiva le relazioni tra i due stati fin dalla dissoluzione della Yugoslavia, momento in cui la ex Repubblica Socialista di Macedonia è stata accusata di utilizzare abusivamente per vanagloria nomi e simboli della regione ellenica che, a detta degli irredentisti della Grande Macedonia ma non solo, non avrebbero nessuna relazione con le popolazioni slave di quei territori.

Nel 1995, dopo estenuanti trattative ai massimi livelli istituzionali si raggiunse l’accordo provvisorio, comunque non accettato universalmente, secondo il quale per lo stato slavo si sarebbe utilizzata la denominazione ufficiale di Ex Repubblica Yugoslava di Macedonia (spesso abbreviata anche in FYROM, acronimo dello stesso nome in inglese). La soluzione risultava essere un compromesso sgradito a entrambe le parti, la Grecia infatti continuava ad opporre il suo veto all’allargamento allo stato balcanico di NATO e Unione Europea, mentre la controparte intravedeva nell’utilizzo della reminiscenza yugoslava una possibile apertura alle pretese serbe di ricostituzione della federazione. Le posizioni dunque restavano inconciliabili: negli anni erano state avanzate numerose proposte (Nuova Macedonia, Macedonia Superiore, Macedonia-Slava etc) ma proprio per la presenza stessa del nome “Macedonia” erano tutte respinte da Atene, che a suo volta vedeva con favore denominazioni come Repubblica di Skopje o Repubblica del Vardar. Dunque grande confusione regnava sotto il cielo con le organizzazioni internazionali costrette a acrobazie linguistiche per mantenere equidistanza e neutralità.

 

 

La svolta definitiva invece è arrivata a metà dello scorso mese di giugno quando le parti rappresentate da Alexis Tsipras per la quella greca e Zoran Zaev per quella macedone, hanno finalmente raggiunto un accordo: il nome ufficiale sarà Republika Severna Makedonijain ovvero Repubblica della Macedonia del Nord. La decisione sarà sottoposta poi a un referendum confermativo e sbloccherà l’empasse intorno al riconoscimento ufficiale della lingua macedone a livello internazionale. In cambio della concessione greca sul nome, la Macedonia del Nord si impegna a chiarire una volta e per sempre la sua completa estraneità con l’antico Regno dei Macedoni e con tutta la tradizione ellenistica, tra le altre cose, rimuovendo la gigantesca statua di Alessandro Magno dal centro di Skopje e ridenominando l’aeroporto internazionale della capitale a lui dedicato.

Tutto bene dunque? No. La Russia chiaramente non ha visto di buon occhio l’avvicinamento di uno stato slavo alle posizioni di NATO e Unione Europea, e quindi ha fomentato il dissenso interno ai due stati per boicottare l’accordo e far fallire il referendum. L’allontanamento dei diplomatici è soltanto l’ultimo mossa di una partita ancora lontana dalla sua conclusione definitiva.