Il prossimo 25 luglio si terranno le elezioni per il rinnovo del parlamento pakistano. Non a torto si potrebbe ritenere questo appuntamento elettorale il più oscuro e torbido degli ultimi anni per via delle interferenze dei militari, dei servizi di intelligence e dei legami tra alcune forze politiche e l’estremismo islamico. La condanna a dieci anni per corruzione dell’ex primo ministro Nawaz Sharif ha finito per avvantaggiare la corsa delle forze anti-democratiche e potrebbe segnare la sconfitta della Lega Musulmana del Pakistan, The Pakistan Muslim League Nawaz (PML-N), che dopo il passo indietro forzato di Nawaz Sharif punta su suo fratello Shehbaz.

La potente e pervasiva classe dei militari non è ufficialmente coinvolta nella campagna elettorale, ma sta lavorando tenacemente per instaurare un fragile governo che possa garantirgli il controllo del Paese. L’esecutivo che nascerà a seguito delle elezioni avrà davanti a sé una crisi economica che ha raggiunto cifre record. Il deficit commerciale del Pakistan è arrivato a 37,7 miliardi di dollari, mentre la valuta locale ha ceduto più del 25% del suo valore negli ultimi sette mesi.

 

L’esercito nel mirino delle critiche

L’esercito ha negato qualsiasi coinvolgimento nella campagna elettorale, assicurando attraverso il suo portavoce di svolgere il proprio compito in maniera imparziale. La sicurezza del processo elettorale è stata invece segnata da una serie di brutali attentati avvenuti durante le manifestazioni pubbliche. Molti candidati e attivisti hanno accusato l’esercito di non fare abbastanza per provvedere alla loro sicurezza. Sia il PML-N che il PPP, Pakistan Peoples Party, hanno denunciato intimidazioni dei militari contro i propri candidati. Altra accusa rivolta all’esercito è di fare pressioni sulla stampa cercando di soffocare le informazioni che riguardano la campagna elettorale di entrambi i partiti. Sono trascorsi dieci anni da quando Musharraf, ultimo leader militare a capo del Pakistan, ha abbandonato il potere. Tuttavia l’esercito, come dimostrano questi episodi, continua ad agire come una sorta di secondo governo e a controllare molti aspetti della vita pubblica pakistana: sicurezza, difesa, politica estera, economia.

 

Imran Khan contro Shehbaz Sharif

L’uomo a cui prestare maggiore attenzione è Imran Khan della formazione di centro destra Movement for Justice, conosciuta anche come Pakistan Tehreek-e-Insaf, o PTI, che dal 2013 è la terza forza politica del Paese. Khan ha fatto la sua comparsa in politica nel 1997, cinque anni dopo aver portato la nazionale di cricket a vincere la Coppa del Mondo. Molti sostengono che sia un fantoccio nelle mani dei militari che proprio grazie a lui cercherebbero di instaurare un governo facile da manovrare, accusa che Khan ha respinto. Le sue politiche però sono del tutto conformi al volere dell’establishment militare e prevedono anche un certo grado di “tolleranza” verso i Talebani. Durante la campagna elettorale Khan ha inoltre fatto appello al rispetto dei diritti religiosi scatenando molte critiche. Dalla sua parte ci sono soprattutto i giovani delusi dalla politica intesa come potere di tipo dinastico.

L’avversario principale di Imran Khan è Shehbaz Sharif, come detto candidato del partito conservatore Pakistan Muslim League-Nawaz. Shehbaz ha in mente una serie di progetti infrastrutturali che vorrebbe realizzare grazie a finanziatori cinesi. I suoi rapporti con i militari sono migliori rispetto a quelli del fratello, allontanato dal potere per volere degli stessi militari.

 

L’ascesa dei gruppi estremisti

 

L’aspetto più allarmante della campagna elettorale è tuttavia la partecipazione di diversi candidati legati a gruppi estremisti e alle violenze settarie. Gli attivisti hanno cercato di bandire queste forze politiche dalla competizione elettorale attraverso petizioni che però sono state rigettate dai tribunali pakistani. I motivi citati dagli attivisti non sono stati ritenuti abbastanza validi per giustificare l’esclusione di questi partiti. Eppure, tra i candidati più contestati c’è Aurangzeb Farooqi, leader di Ahle Sunnat Wal Jamaat, ASWJ, una formazione politica che incita alla violenza contro la minoranza sciita. Farooqi stesso è stato accusato di diffondere l’odio religioso e di una serie di omicidi di attivisti di fede sciita. Non è un mistero che ASWJ sia il braccio politico del feroce Lashkar-e-Jhangvi, un gruppo armato vicino ad Al Qaeda, anche se gli esponenti del partito continuano a negarlo.

Per evitare di incorrere in sanzioni internazionali il governo del Pakistan ha accettato di fare di più per combattere il terrorismo interno. Il piano contro i terroristi non ha però impedito alla commissione elettorale del Paese di spianare la strada ai candidati appoggiati da gruppi di estremisti. Tutto è accaduto sotto gli occhi dell’esercito che sfrutta proprio gli estremisti per raggiungere i propri fini in termini di difesa e di politica estera. A luglio, inoltre, è stata ammessa alle elezioni una nuova forza politica chiamata Tehreek-e-Labbaik che tra gli obiettivi ha quello di punire chi offende l’Islam, promessa che ovviamente spaventa non poco le minoranze nel Paese.

Con Nawaz Sharif fuori dai giochi è difficile pensare che possa esserci davvero una forza capace di fare da argine al potere dell’esercito. La sua condanna ha interrotto il cammino del Pakistan verso la democrazia. Resta da vedere cosa succederà il 25 luglio.