Si propone e ripropone per l’Italia e i singoli paesi d’Europa quanto convenga mettere la Russia ai margini della scena politica internazionale, cancellarla dall’agenda degli amici con cui fare affari e mettere in cantiere progetti.

Sanzioni economiche e boicottaggi d’ogni tipo non hanno raggiunto gli obiettivi sperati, anzi, ci si è solo resi conto delle ingenti perdite economiche, e in molti, più o meno goffamente, hanno cominciato a correre ai ripari. Di un interlocutore come il Cremlino e uno sbocco commerciale come la Federazione russa non si può fare a meno.

Una decina di anni fa, Evgenij M. Primakov (1929-2015), sopraffine accademico, arabista e personaggio chiave dell’Urss e della Russia “indipendente” aveva dato alle stampe un breve capolavoro di analisi e strategia, “Mir bez Rossii? K čemu vedët političeskaja blizorukost’” (Il mondo senza Russia? A cosa porta la miopia politica). Primakov aveva già allora delineato con grande precisione le dinamiche che poi in seguito si sono verificate, dal conflitto in Ucraina al Caucaso, dal Vicino Oriente alla questione nucleare (Iran e Corea del Nord), indicando cause e concause, presunti responsabili e soluzioni certe. Un sano e sincero multipolarismo era suggerito come l’ingrediente fondamentale per superare indenni le tante pericolose incognite della convivenza globale.

Tanta sapienza, esperienza e suggerimenti rivolti ad un’arena internazionale non sono andati del tutto persi, almeno a Mosca. Nei suoi ripetuti mandati presidenziali, Vladimir V. Putin, forse complice la sua maestria nel judo, che pratica dall’adolescenza e che lui stesso considera la filosofia di vita che lo ha da sempre guidato, ha dribblato ostacoli lungo il percorso e continuato a ricostruire la Russia e la sua proiezione nel mondo, nei limiti del possibile realizzabile in neanche due decenni, ripartendo dal baratro degli Anni ’90.

Il Cremlino di Putin ha dato vita e ridato impulso a strutture e sottostrutture regionali, un po’ farraginose, non sempre al massimo dell’efficienza, ma in prospettiva di grande portata strategica. La lista dei nomi delle tante organizzazioni internazionali, loro funzioni e possibilità che si presenterebbero per l’Italia e l’Europa in caso di una avveduta cooperazione con queste realtà è lunga, ma per restare alla più recente attualità guardiamo all’ultimo vertice dei BRICS (dalle iniziali di Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica) che qualche giorno fa si è svolto a Johannesburg, in Sudafrica.

Le cinque economie emergenti, qualcuna già abbondantemente emersa, hanno messo all’ordine del giorno l’Africa, e il futuro sviluppo del partenariato tra il continente e il BRICS. All’appuntamento sono stati invitati molti leader africani e si è parlato fondamentalmente di consistenti programmi d’industrializzazione dell’Africa, passando anche per l’acquisizione da parte dei paesi africani di tecnologie e know-how avanzati di cui i Brics, in particolare Russia e Cina, sarebbero a disposizione.

La Russia, per restare in tema, si è data da fare per blindare questo ampio partenariato in cui è, insieme alla Cina, protagonista. Il governo di Mosca ha sottoscritto un’intesa formale con la Southern African Development Community, in cui sono raggruppati 16 paesi africani, per la cooperazione militare e tecnica, un accordo che per chi lo ha promosso darà i suoi frutti e che soprattutto mira a mantenere “stabilità e sicurezza nel continente africano”. Se effettivamente implementato, il progetto darà nuove importanti posizioni di vantaggio economico e strategico a due competitor critici per Italia e Europa.

Considerati questi ultimi sviluppi di cronaca internazionale e il loro impatto, la fortissima e radicata presenza di Pechino in Africa, che d’ora in poi avrà tutto l’interesse a concretizzare la visione insieme a Mosca, senza intoppi e imprevisti, l’Occidente dovrebbe chiedersi quanto convenga continuare a imporre sanzioni e scagliare anatemi. Forse sarebbe ora di liberarsi di quella miopia politica da cui ci aveva messo in guardia il defunto Primakov.

 

Pietro Fiocchi