In seguito all’attacco russo contro navi ucraine, che effettuavano una traversata marittima dal porto di Odessa al porto di Mariupol, in conformità con le disposizioni di tutti i trattati internazionali multilaterali e bilaterali efficaci e le norme di navigazione, le forze russe hanno catturato tre navi ucraine, ferito sei membri dell’equipaggio di cui due in gravi condizioni, altri ventitré marinai ucraini sono stati catturati. Un tale attacco non è altro che un atto di aggressione armata della Federazione Russa contro l’Ucraina come definito, in particolare, dall’articolo 2 della Carta delle Nazioni Unite e dalle disposizioni della risoluzione 29/3314 dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite del 14 dicembre 1974 sulla definizione di aggressione. La Russia ha, di fatto, allargato la sua aggressione militare contro l’Ucraina al territorio marittimo. Il regime criminale del Cremlino ha ancora una volta dimostrato che non fermerà la sua politica aggressiva ed è pronto ad ulteriori atti di aggressione nei confronti dello Stato Ucraino».

Queste parole al vetriolo – unite a un accorato appello rivolto al governo italiano affinché «condanni con fermezza l’aggressione russa contro l’Ucraina» e rafforzi «le misure sanzionatorie contro il regime del Cremlino» – sono state pronunciate pochi giorni fa dall’ambasciatore ucraino in Italia, Yevhen Perelygin, da anni in prima linea nel denunciare quelle che Kiev ritiene le prepotenze russe a loro danno, e nel perorare la causa ucraina di fronte all’Europa unita.

L’annessione della Crimea, l’inizio di tutto

Di certo questo episodio, che vede coinvolte due cannoniere e un rimorchiatore ucraino oltre a un manipolo di marò fatti prigionieri da Mosca, è l’ultimo di una serie di prepotenze che il governo di Petro Poroshenko subisce nel giro di pochi anni. Più precisamente dall’inverno del 2014, quando cioè l’Ucraina perse la propria unità territoriale in seguito ai “disordini di Piazza Maidan”, che condussero da un lato alla fuga dell’allora presidente Viktor Yanukovich da Kiev e dall’altro alla crisi militare del Donbass, con le note conseguenze di cui l’annessione russa della Crimea è e resta lo smacco più grande subito dall’Ucraina.

Annessione, vale la pena ricordarlo, avvenuta in maniera incruenta e senza spargimento di sangue (al contrario di quanto accaduto nelle province orientali del Donbass, dove sono morte quasi 10mila persone), ma che ha comunque ha segnato una strada senza ritorno. Il Cremlino, infatti, ha sempre considerato la penisola di Crimea come un proprio possedimento: nonostante la penisola fosse stata regalata da Kruschev nel ’54 agli ucraini, infatti, la più grande base militare navale russa è significativamente sempre rimasta Sebastopoli, a significare una presenza immanente senza alcuna possibilità di negozazione.

A testimoniare l’interesse cruciale di Mosca per la penisola, è anche la rapidissima costruzione del collegamento tra Kerch (Crimea) e Krasnodar (Russia), attraverso un ponte la cui prima pietra è stata posata solo nel 2015 e che oggi già unisce il Mar Nero al Mare di Azov: un sogno lungo meno di cinque chilometri, che però la Russia inseguiva da più di cento anni e che in tanti, prima di Vladimir Putin, avevano tentato di realizzare senza successo. Proprio il ponte è oggi al centro di questo pericoloso scontro tra la flotta russa e quella ucraina, cosa che ha convinto il presidente Poroshenko a invocare la legge marziale, in vista di una possibile escalation militare.

Il controllo dello Stretto di Kerch è irrinunciabile per Mosca

Dopo i progetti dello zar Nicola II, interrotti per via dello scoppio della prima guerra mondiale, fu nientemeno che Adolf Hitler a incaponirsi sull’idea del collegamento-ponte sullo stretto di Kerch. Tanto che, dopo aver occupato la Crimea, il fuhrer di Germania pose le basi per un passaggio che avrebbe garantito al Terzo Reich di raggiungere l’Asia fino alle Indie. Prima di lui ci aveva pensato anche Joseph Stalin, il quale – dopo aver cacciato i tedeschi – nel 1944 inaugurò in fretta e furia un primo ponte, giusto in tempo per potersene vantare con Churchill e Roosevelt durante la Conferenza di Yalta (Crimea, febbraio 1945). Il collegamento, però, crollò dopo poco tempo e l’Unione Sovietica da allora accantonò mestamente il progetto, mentre la Crimea nel frattempo era divenuta Ucraina (19 febbraio 1954).

Oggi tutto questo è divenuto realtà sotto la presidenza Putin, e anche per questo il Cremlino non rinuncerà mai al controllo strategico del Mar Nero. Con buona pace di Kiev, che ora può soltanto denunciare alle Nazioni Unite – come peraltro ha fatto – tutto il suo disappunto per sperare in un’intercessione del Consiglio di Sicurezza, convocato in via d’urgenza per le 17 di oggi (lunedì 26 novembre) ora italiana. Un appuntamento che, tuttavia, difficilmente sarà risolutivo, considerato che il meccanismo di voto del massimo organo decisionale dell’ONU impone l’unanimità e ogni voto contrario – è scontato quello della Federazione Russa – rende inefficace qualsiasi azione in contrasto con la volontà di un singolo membro permanente.

Si aggiunga che lo Stretto di Kerch è un crocevia importantissimo per il commercio globale di merci come grano, petrolio, minerali ferrosi e legname, che trovano nel porto ucraino di Mariupol uno snodo centrale. Mariupol è, però, anche nelle mire dei separatisti filo-russi, che oggi controllano il Donbass: conquistare la città da parte loro significherebbe garantirsi un corridoio diretto con la Crimea, rosicchiando ulteriore territorio ucraino in favore della Russia, che dei filo-separatisti è ovviamente lo sponsor.

Cosa accadrà adesso?

Dunque, mentre Mosca continua a fare la parte che più le si addice, quella dell’orso vorace, Kiev è invece costretta a nuotare controcorrente proprio come i salmoni, le prede di cui l’animale simbolo della Russia è ghiotto. Una legge di natura, direbbero a Mosca. Una barbarie, rispondono a Kiev.

Così, anche se il destino dei marinai ucraini è probabilmente quello di tornare tra le braccia della madrepatria – un segno distensivo cui Putin difficilmente potrà rinunciare, a meno di non voler provocare una reazione della NATO e degli Stati Uniti, e ulteriori sanzioni – certo è che questo episodio dimostra una volta di più l’isolamento di Kiev e lo strapotere geopolitico che il Cremlino ha saputo guadagnarsi nell’ultimo decennio, a scapito di molti. Quasi di tutti.

 

articolo pubblicato su Panorama.it