Sono diverse le sfide che nel prossimo futuro interesseranno l’area mediterranea dal punto di vista giuridico, geopolitico, migratorio. Alcune di esse sono state analizzate nel corso del convegno “Sicurezza nel Mediterraneo” organizzato dall’Università degli Studi Internazionali di Roma lo scorso 17 maggio.

Il primo panel dell’incontro, “I mutamenti costituzionali nell’Islam Mediterraneo”, è stato fondamentale per riavvolgere il nastro degli eventi avvenuti negli ultimi anni, attraverso un’analisi istituzionale, e non solo, sui Paesi del Nord Africa all’indomani delle primavere arabe. La discussione è partita da punto dalla presentazione della nuova edizione del volume Diritto pubblico dell’Islam Mediterraneo di Ciro Sbailò, preside della facoltà di Scienze politiche della Unint e professore ordinario di Diritto comparato. Un contesto come quello nord africano, in cui il rapporto talvolta dicotomico tra due princìpi ordinatori differenti, costituzionalismo e sharia, ha richiesto una riflessione dai parte dei relatori così come della platea che andasse oltre la semplice comparazione giuridica.

«Larga parte della società civile dei Paesi coinvolti dalle primavere arabe richiedeva trasformazioni dal punto di vista politico-istituzionale», ha esordito Francesco Biagi, professore di Diritto pubblico comparato dell’Università di Bologna. «Seppur nelle nuove costituzioni troviamo riconosciuto il principio della separazione dei poteri, questo obiettivo è stato raggiunto solo in minima parte, come in Marocco e Giordania, o per nulla. I poteri del presidente in Egitto si sono rafforzati ulteriormente con la riforma costituzionale del 2019. L’esercito in Egitto è stato decisivo nel processo costituente. In Libia non è garantita libertà religiosa nella Costituzione. L’unico ordinamento che ha sancito discontinuità è stato quello della Tunisia con la costituzione del 2014, ma in seguito un decreto presidenziale del 2021 ha sospeso le attività parlamentari. Emerge quindi come nel mondo arabo il capo dello Stato continui a essere il vero dominus. La dimensione parlamentare è stata rafforzata ma la sua posizione è subordinata. Siamo in presenza di organi che operano in un contesto illiberale. Le corte costituzionali ricevono un numero limitatissimo di casi. L’unica corte che ha esercitato un ruolo maggioritario è stata quella egiziana anche attraverso un’interpretazione modernista del principi della Sharia. In linea di massima l’idea dell’unità del potere continua a essere forte nel mondo arabo».

Non vanno inoltre escluse le diverse prospettive geopolitiche, come ricordato dalla dottoranda Unint Ornella Giardini, in cui attori mediorientali come la Turchia o l’Arabia Saudita mirano a trasformare in zone d’influenze Paesi come la Libia, maggiormente scosso dalle primavere del 2011 e tutt’ora lontano dalla stabilità politica, come testimoniato dalla contrapposizione intrasunnita tra i governi di Tripoli e Tobruk e tra i loro alleati internazionali.

Nel contesto egiziano, ha sottolineato Giulia Deiana, dottoranda Unint, «abbiamo assistito a uno scontro tra Fratellanza musulmana, propensa alla islamizzazione della società ed élite militari dirette alla statalizzazione dell’Islam. È stato quest’ultimo tra i due paradigmi a uscire vittorioso dalla disputa, conquistando il potere da quando il presidente Al-Sisi è al governo».

L’intervento del professor Ciro Sbailò

In apertura del secondo panel, “Gli equilibri euro-mediterranei alla prova delle nuove minacce alla stabilità globale“, Ciro Sbailò ha affermato: “La dottrina McDonald di Thomas Friedman affermava, richiamandosi al pensiero di Kant e a una citazione di Andy Warhol che due Paesi in cui ci sono i McDonald’s non si fanno la guerra, ovvero che l’occidentalizzazione corrisponde alla democratizzazione di un Paese. In realtà abbiamo il riemergere di un antagonismo verso l’Occidente dopo lo scioglimento dei ghiacci della Guerra fredda». Da questo punto di partenza Sbailò ha fatto intendere come il conflitto in Ucraina e la futura stabilità dell’area mediterranea siano legate a doppio filo: «La guerra in Ucraina, tra i principali produttori di grano sta scatenando una crisi alimentare che avrà forti ripercussioni sulla sponda Sud del Mediterraneo. Pensiamo per esempio alla Tunisia che è il secondo Paese al mondo per consumo di pasta. La scintilla della primavere araba non fu la ribellione contro il totalitarismo o cose del genere ma la mancata promessa di mobilità sociale. Allora la rivolta fu assorbita dentro la Fratellanza musulmana che poi che ha fallito ovunque. Siamo pronti per avere a che fare con una nuova fiammata di quell’area?». Riguardo a ciò Sbailò auspica una politicizzazione dello spazio europeo, con il consolidamento di una politica estera e difesa comune.

L’intervento della prof.ssa Annita Sciacovelli

L’elemento cibernetico dei Paesi nordafricani è stato messo in risalto con l’intervento successivo di Annita Sciacovelli, cybersecurity specialist: «I Paesi di area Mena hanno una popolazione molto giovanile dove si registra un notevole incremento degli strumenti cibernetici. Questi Paesi vivono sia una transizione diplomatica che digitale. Non va tralasciato inoltre che c’è una forte densità di cavi sottomarini nel Mediterraneo. A volte c’è difficoltà a stare dietro a una normazione internazionale per quanto riguarda l’aspetto cyber. Biden recentemente ha promosso in un incontro con un Putin la stesura di una convenzione di Ginevra in ambito cyber. In ambito italiano credo sia stato importante da parte del ministero degli Esteri promuovere la “cyber diplomazia”». Dal momento che la cybersicurezza è diventata un tema di politica estera risulta dunque necessario cominciare a parlare anche di cyber sicurezza nel Mediterraneo.

L’intervento del professor Alfredo Mantici

Ha in seguito affermato Alfredo Mantici, professore straordinario di Scienza politica della Unint: «Esiste un unico modello di democrazia occidentale? Quale potrebbe essere, quello americano? Dove c’è una commistione tra esecutivo e giudiziario che a noi sembra impensabile. Il sistema nordafricano si è sì irrigidito ma personaggi come Gheddafi fungevano da collante. Quello che dobbiamo chiederci è se intendiamo agire tentando con realismo o continuando a imporre le nostre categorie. Se è vero che la globalizzazione economica sta finendo assistiamo a una globalizzazione delle crisi. Dovremmo toglierci dalle spalle certo moralismo protestante anglosassone e ritornare al pragmatismo cattolico di stampo mediterraneo. Se vogliamo limitare i danni e tentare di costruire un assetto stabile sull’area mediterranea dobbiamo tentare di collaborare con realtà politiche giuridiche religiose a noi totalmente estranee piuttosto di “civilizzarle”, rievocando nuovamente il fardello dell’uomo bianco.

L’intervento dell’ex ministro dell’Interno Marco Minniti

Ha concluso infine l’incontro l’intervento di Marco Minniti, presidente della Fonazione Med-Or: «C’è un filo rosso che collega la vicenda Ucraina al Mediterraneo. Oggi assistiamo a una crisi umanitaria con 6 milioni di persone che hanno lasciato l’Ucraina. Avere una crisi anche al sud del Mediterraneo dove c’è una prorompente componente giovanile pronta a protestare sarebbe difficile da gestire. Ciò fa comprendere quanto la situazione sia complicata. Nei prossimi 20 anni il futuro dell’Europa si giocherà in Africa. Per lo sviluppo demografico in atto nel continente, non ci saranno muri che reggeranno. Gli altri Paesi come la Cina riescono a costruire relazioni più complesse. Per fare un esempio, l’Algeria è stato uno dei primi Paesi del Nord Africa a realizzare i vaccini anticovid grazie a un brevetto cinese. “Nascondi le tue capacità e aspetta il tuo momento”, questo è il modo di agire cinese. Noi siamo abituati a capitalizzare tutto e subito. Anche il mondo arabo si sta unendo. In caso di crisi alimentare 22 miliardi di dollari sono stati offerti dai Paesi del Golfo all’Egitto. Dobbiamo far crescere una vera soggettività geopolitica del Mediterraneo, essenziale per la sicurezza del pianeta. C’è bisogno di un protagonista nel Mediterraneo e questo ruolo può essere occupato solo dall’Italia. È con la forza di un modello che si risolvono i conflitti».